Di Dott.ssa Alessandra Morelli – Studio Limardi
Articolo Pubblicato sulla rivista Filodiritto il 10 settembre 2020. Tutti i diritti sono di Filodiritto.
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Nella prassi societaria, è frequente l’ipotesi in cui nel corso dell’esercizio vengano a mancare, per eventi straordinari, uno o più amministratori e il consiglio di amministrazione si trovi a doverli sostituire, in attesa della successiva assemblea dei soci.
A tal proposito l’articolo 2386 del codice civile, prevede un sistema di sostituzione degli amministratori cessati stabilendo che: “Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, gli altri provvedono a sostituirli con deliberazione approvata dal collegio sindacale, purché la maggioranza sia sempre costituita da amministratori nominati dall’assemblea. Gli amministratori così nominati restano in carica fino alla prossima assemblea. Se viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall’assemblea, quelli rimasti in carica devono convocare l’assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti […]”.
L’istituto della cooptazione rappresenta, in buona sostanza, una deroga temporanea alla regola che riconosce all’assemblea la competenza alla nomina degli amministratori. La norma in esame risponde, quindi, all’esigenza di garantire la completezza e il regolare funzionamento del consiglio di amministrazione nel numero fissato dall’atto di nomina, o dallo statuto, ed a non aggravare eccessivamente l’assemblea dei soci, imponendo una convocazione immediata ogniqualvolta venga meno un componente dell’organo gestorio.
Secondo la ricostruzione dottrinale prevalente, la sostituzione per cooptazione rappresenterebbe un vero e proprio obbligo degli amministratori rimasti in carica e, solo qualora gli amministratori non trovassero l’accordo su chi nominare, sarebbe possibile chiamare in causa l’assemblea. Secondo altra ricostruzione, invece, la cooptazione sarebbe una mera facoltà degli amministratori che, di conseguenza, potrebbero decidere di servirsene, ovvero di rimettere subito la decisione all’assemblea.
La delibera di nomina non è, comunque, immediatamente efficace dal momento che, a norma dell’articolo 2386 codice civile, deve essere approvata dal collegio sindacale. Tale approvazione è, quindi, necessaria ai fini del perfezionamento della nomina. In sua mancanza dovrà, infatti, essere convocata l’assemblea.
L’amministratore cooptato ha poteri identici a quelli degli amministratori di nomina assembleare. Gli amministratori nominati per cooptazione, infatti, si differenziano dagli altri non per le mansioni, ma solo per la limitata durata nel tempo della carica. Questi rimangono in carica fino alla successiva riunione dell’assemblea, che potrà scegliere se confermare la nomina, ovvero provvedere all’individuazione di uno o più nuovi amministratori. In ogni caso, gli amministratori cooptati e confermati (come quelli di nuova nomina assembleare) scadono insieme agli altri amministratori rimasti in carica.
Sebbene l’approvazione del cooptato possa essere implicita, dovrà comunque essere fatta mediante una formale delibera, anche con oggetto diverso ma avente come presupposto il conferimento della carica sociale: sarà necessario, pertanto, inserire il relativo punto all’ordine del giorno. Tale assemblea non dovrà essere appositamente convocata, ma potrà essere un’assemblea “naturale” come, per esempio, quella di approvazione del bilancio di esercizio. La mancata ratifica da parte dell’assemblea comporta, in ogni caso, la decadenza dell’amministratore cooptato.
La cooptazione non si applica, invece, qualora lo statuto riservi all’assemblea la nomina dei nuovi amministratori chiamati a sostituire quelli cessati, ovvero qualora la cessazione si abbia per scadenza naturale del mandato. La stessa è, inoltre, preclusa quando la cessazione dell’amministratore faccia venire meno anche la maggioranza di quelli di nomina assembleare. In tale ipotesi l’eventuale nomina di amministratori cooptati è inefficace.
Chiariti gli aspetti generali e la normativa applicabile in materia di cooptazione in ambito societario, occorre valutare la possibilità di applicare tale istituto anche alle realtà associative.
Il codice civile, che disciplina puntualmente la sostituzione per cooptazione dei componenti del consiglio di amministrazione di una società, nulla dispone in tal senso in ambito associativo, stante l’assenza, tanto nel primo, quanto nel quinto libro del codice, di disposizioni che espressamente la contemplino.
Tuttavia, è doveroso precisare come, seppure nel silenzio della disciplina codicistica, la nomina per cooptazione sia una soluzione molto diffusa e prevista negli statuti delle associazioni, proprio per fare fronte alla mancanza del numero minimo dei consiglieri dell’organo “amministrativo”.
Nell’ambito della gestione di un’associazione, infatti, è frequente che alcuni componenti del consiglio direttivo si dimettano o decadano dalla propria carica per i più disparati motivi. In tali situazioni, al fine di stabilire come procedere, la prima circostanza da verificare è se lo statuto o il regolamento disciplinino tali evenienze, e quindi seguire la procedura stabilita.
Come sopra detto, molti statuti associativi, per garantire la consistenza del consiglio direttivo, proprio per evitare un’apposita convocazione dell’assemblea dei soci per l’elezione delle cariche vacanti, prevedono che il consiglio stesso possa sostituire i ruoli mancanti con i primi non eletti alle ultime elezioni, ovvero tramite cooptazione, salvo poi ratifica da parte dell’assemblea.
Stante la valenza primaria degli accordi tra gli associati e della matrice contrattualistica delle associazioni non riconosciute, appare chiaro come il meccanismo di nomina per cooptazione possa, senz’altro, trovare applicazione agli enti associativi, qualora vi sia un’apposita previsione in tal senso nello statuto dell’ente.
Tuttavia, può anche capitare che lo statuto ed i regolamenti associativi non prevedano nulla per disciplinare tali casi o che, comunque, le previsioni in essi contenute non siano di per sé sufficienti a far fronte ad alcune ipotesi straordinarie.
Occorre dunque valutare se, anche in assenza di apposita previsione statutaria, in caso di dimissioni di parte del consiglio direttivo che comunque mantengano invariata la maggioranza dei suoi componenti, l’istituto della cooptazione sia applicabile.
In effetti, nella prassi si presentano alcuni casi in cui, pur in assenza di una specifica previsione al riguardo, la cooptazione da parte dell’organo amministrativo avviene di fatto, seppure ciò comporti una temporanea deroga al principio di democraticità.
Tale deroga, tuttavia, sembrerebbe essere giustificata dalla necessità di ristabilire in tempi ragionevoli la pienezza della composizione di un collegio, nei casi in cui non sia possibile, o comunque troppo onerosa, l’elezione dei sostituti con le modalità ordinarie.
La normativa ex articolo 2386 codice civile prevista in materia di cooptazione sembrerebbe, quindi, con i dovuti adattamenti, potersi senz’altro applicare in via analogica anche alle associazioni non riconosciute.
In effetti, tanto in uno scenario societario quanto associativo, la ratio dell’istituto rimarrebbe immutata: la cooptazione risponderebbe, infatti, in entrambi i casi, alla precipua esigenza di mantenere intatto il numero di amministratori/consiglieri previsti nello statuto, senza appesantire la vita sociale dell’ente imponendo la convocazione immediata dell’organo assembleare per una nomina “parziale”.
Pertanto, anzitutto nelle situazioni di urgenza e/o emergenza, anche nel silenzio dello statuto, sembrerebbe potersi configurare la possibile nomina del consigliere per cooptazione, con conseguente necessaria ratifica da parte dell’assemblea successivamente convocata.