Avvocato Clarissa Pacifici – Studio Legale Limardi
Articolo Pubblicato sulla rivista Filodiritto il 12 settembre 2019. Tutti i diritti sono di Filodiritto.
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Il nostro Ordinamento giuridico, come noto, prevede e disciplina diversi tipi o schemi legali di società, esattamente individuati e caratterizzati. Un primo essenziale criterio di differenziazione riguarda l’oggetto sociale e, più precisamente, l’esercizio o meno di attività commerciale.
È, altrettanto, noto che una attività commerciale possa essere esercitata, generalmente, anche senza ricorrere al contratto di società, ad esempio in forma individuale, consortile o di associazione. Pertanto, il soggetto che voglia intraprendere una determinata attività commerciale o meno, dovrà scegliere, in base alle proprie esigenze e finalità, tra le diverse forme e i diversi tipi di società che l’Ordinamento mette a disposizione. Dette esigenze e finalità possono nel tempo modificarsi al punto tale da rendere necessaria la mutazione dell’organizzazione originariamente prescelta, in quanto ritenuta non più adeguata.
In tale ipotesi, anziché passare attraverso l’estinzione o la liquidazione della struttura organizzativa originariamente adottata e la prosecuzione dell’attività sotto una nuova forma o un nuovo tipo di società, il mutamento della struttura organizzativa può essere ottenuto ricorrendo agli istituti della trasformazione, della fusione ed, infine, della scissione.
Nel sistema del Codice del 1942 le operazioni straordinarie di impresa erano previste esclusivamente per gli enti societari e non anche, se non in modo del tutto occasionale, in relazione agli enti non profit.
Ebbene, fino all’approvazione della riforma del diritto societario, l’unica vicenda modificativa inerente alle organizzazioni non profit era quella contenuta nell’articolo 28 del Codice civile, riguardante le fondazioni.
Successivamente, si è iniziato a dibattere anche sulla possibilità/legittimità degli enti non lucrativi di modificare la loro struttura giuridico – organizzativa, pur rimanendo nell’ambito delle figure giuridiche contemplate dal Libro I del Codice civile.
Tale lacuna normativa è stata poi, solo in parte, colmata a seguito della riforma del diritto societario, avvenuta con il Decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 6, che ha espressamente previsto e disciplinato l’istituto della trasformazione eterogenea, di cui agli articoli 2500 – septies e 2500 – octies del Codice civile.
In particolare, l’articolo 2500 – septies del Codice Civile, consente il passaggio da una società di capitali ad una associazione non riconosciuta o ad una fondazione, mentre l’articolo 2500 – octies del Codice Civile consente, invece, la trasformazione in società di capitali di associazioni riconosciute e fondazioni.
Ma anche in un siffatto contesto normativo rimanevano prive di espressa disciplina la trasformazione, la fusione e la scissione che coinvolgessero esclusivamente gli enti non profit.
Ciò posto, con il Decreto legislativo 3 luglio 2017 n. 117, emanato in attuazione della delega conferita al Governo con Legge 6 giugno 2016 n. 106, in vigore dal 3 agosto 2017, è stato approvato il Codice del Terzo Settore.
Attraverso tale provvedimento il Legislatore, nel rispetto degli articoli 2, 3, 4, 9, 18, 118 della Costituzione, ha inteso riordinare anche le iniziative dei cittadini che intendano perseguire il bene comune in forma associata.
In occasione della riforma organica del Terzo settore si è, quindi, opportunamente provveduto ad inserire nel Codice Civile una specifica disciplina della trasformazione, fusione e scissione degli enti non profit, a prescindere dalla loro qualificazione in termini di Enti del Terzo Settore, come definiti dall’articolo 4 del Decreto legislativo 117/2017.
Si tratta del nuovo articolo 42 – bis Codice Civile secondo cui “Se non è espressamente escluso dall’atto Costitutivo o dallo Statuto, le associazioni riconosciute e non riconosciute e le fondazioni di cui al presente titolo possono operare reciproche trasformazioni, fusioni o scissioni. La trasformazione produce gli effetti di cui all’articolo 2498. L’organo di amministrazione deve predisporre una relazione relativa alla situazione patrimoniale dell’ente in via di trasformazione contenente l’elenco dei creditori, aggiornata a non più di centoventi giorni precedenti la delibera di trasformazione, nonché la relazione di cui all’articolo 2500 sexies, secondo comma. Si applicano inoltre gli articoli 2499, 2500, articolo 2500 bis del Codice civile, 2500 ter, secondo comma, 2500 quinquies e 2500 novies, in quanto compatibili. Alle fusioni e alle scissioni si applicano, rispettivamente, le disposizioni di cui alle sezioni II e III del capo X, titolo V, libro V, in quanto compatibili. Gli atti relativi alle trasformazioni, alle fusioni e alle scissioni per i quali il libro V prevede l’iscrizione nel Registro delle imprese sono iscritti nel Registro delle Persone Giuridiche ovvero, nel caso di enti del Terzo settore, nel Registro unico nazionale del Terzo settore”.
La nuova disposizione normativa, pertanto, si limita a disciplinare le sole operazioni di trasformazione, fusione e scissione che operino all’interno degli schemi causali propri degli enti no profit.
Laddove, invece, l’ente di partenza o quello di arrivo sia rappresentato da un ente societario, deve continuare a farsi riferimento alle specifiche disposizioni contenute agli articoli 2500 – septies e 2500 octies, sopra menzionati.
A parere della scrivente, una particolare attenzione meritano le formalità pubblicitarie inerenti le associazioni non riconosciute.
Come già sopra chiarito, il nuovo articolo 42 – bis Codice civile espressamente riconosce ed ammette, al primo comma, che le operazioni di trasformazione, fusione o scissione possano riguardare anche le associazioni non riconosciute. A fronte di ciò, come si è visto, l’ultimo comma della suddetta norma dispone che “Gli atti relativi alle trasformazioni, alle fusioni e alle scissioni per i quali il libro V prevede l’iscrizione nel Registro delle imprese sono iscritti nel Registro delle Persone Giuridiche ovvero, nel caso di enti del Terzo settore, nel Registro unico nazionale del Terzo settore”.
Dalla lettura della norma, sembrerebbe, a prima vista, che la pubblicità sia obbligatoria per qualsiasi operazione straordinaria che coinvolga gli enti non profit e, quindi, anche le associazioni non riconosciute.
In realtà, a parere della scrivente, l’esatto significato della menzionata disposizione normativa deve essere individuato alla stregua di considerazioni di carattere sistematico e non in base al mero tenore letterale della medesima.
Tale considerazione si rende necessaria in quanto può anche accadere che l’operazione in questione coinvolga un’associazione non riconosciuta che sia sprovvista dei requisiti atti a qualificarla come ente del Terzo settore e, come tale, non sia iscritta né nel Registro delle Persone Giuridiche né nel Registro unico nazionale del Terzo settore.
In tal caso, con ogni evidenza, l’ultimo comma del nuovo articolo 42 – bis Codice civile non potrà trovare applicazione.
Resta, quindi, il problema di stabilire se per tali categorie di enti, gli atti del procedimento debbano essere assoggettati a qualche forma di pubblicità.
Sul punto, parte della dottrina ritiene che, nonostante il silenzio della norma, l’associazione non riconosciuta debba comunque, per ragioni prudenziali, effettuare una comunicazione ad personam di tutti gli atti del procedimento ai soggetti interessati ed in particolare ai creditori.
Altra parte della dottrina sostiene, invece, che la mancanza di un sistema di pubblicità legale non possa costituire un impedimento all’attuazione dell’operazione.
Ad avviso della scrivente, il sistema di pubblicità legale, previsto dall’ultimo comma dell’articolo 42 – bis Codice civile, non può costituire, in alcun modo, impedimento all’attuazione dell’operazione, pertanto, solo l’inserimento di una espressa disposizione statutaria di divieto può precludere a priori siffatta possibilità.