L’amministrazione di sostegno: uno strumento flessibile per la protezione giuridica del soggetto incapace

Ludovica Falzini – Studio Legale Limardi.

 

Trascorso più di un decennio dall’introduzione dell’istituto della amministrazione di sostegno nell’ordinamento italiano, si può parlare di un innegabile successo applicativo dello stesso, non solo per la semplicità, celerità, ed economicità della procedura ma, soprattutto, per l’effettiva maggiore tutela giuridica della dignità e della libertà dei soggetti deboli che garantisce. 

L’istituto dell’amministrazione di sostegno è, tra le figure di tutela giuridica dell’adulto incapace, quella più “giovane”. Introdotta dalla legge n. 6 del 9 gennaio 2004, con la proclamata finalità di “tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”  l’Amministrazione di sostegno si è ritagliata, negli anni, uno spazio sempre maggiore accanto alle tradizionali figure dell’interdizione e dell’inabilitazione.

Questi due istituti, già previsti dal Legislatore del ’42, dispiegano la propria tutela in ragione della gravità del vitium del soggetto incapace. Interviene l’interdizione quando, come disposto dall’ art. 414 c.c., i soggetti “si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi”; l’inabilitazione, quando lo stato dell’adulto incapace “non è talmente grave da far luogo all’interdizione”, come si legge dall’art. 415 c.c.

Differentemente, potrà essere assistita da un amministratore di sostegno “la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi”, come stabilito dall’art. 404 c.c. . L’amministratore di sostegno ha, quindi, la funzione di assistere il beneficiario, che, dunque, non perde la capacità di agire, a differenza dell’interdetto, il quale, invece, viene sostituito in tutto e per tutto dal tutore. Inoltre, essendo l’interdizione una figura totalizzante, nel senso che priva completamente il soggetto della propria autonomia, questa risulta ancora oggi circondata da un forte pregiudizio che aumenta il rischio di emarginazione sociale dell’adulto incapace.

Il carattere meno invasivo dell’amministrazione di sostegno ne ha favorito la divulgazione ed applicazione, che è avvenuta, soprattutto, attraverso campagne di informazione portate avanti dale associazioni di volontariato. In definitiva, dopo un primo disorientamento degli operatori giuridici, dovuto alle novità apportate dalla riforma legislativa, l’istituto ha trovato una notevole fortuna applicativa, grazie ad una serie di circostanze concomitanti.

Innanzitutto poiché, generalmente, non è obbligatorio il patrocinio di un difensore e ciò rende tale procedura facilmente accessibile ai più. In realtà sulla questione del patrocinio, a causa dei contrasti della giurisprudenza di merito, si anche è pronunciata la Suprema Corte di cassazione, intervenuta a seguito di una serie di decisioni altalenanti sulla natura stessa del procedimento.  In effetti, inizialmente, non era chiaro se il procedimento afferisse alla volontaria giurisdizione, ovvero avesse natura contenziosa. Da ciò discendevano altrettanti dubbi sulla obbligatorietà della presenza del difensore, certamente necessaria nel procedimento contenzioso.

Con la Sentenza n. 25366 del 26 novembre 2006 la Cassazione ha stabilito che, per risolvere tali dubbi, non deve farsi riferimento alla struttura del procedimento, quanto piuttosto alla situazione soggettiva in esame. In buona sostanza il patrocinio non è obbligatorio quando (come è nella maggior parte dei casi) la domanda riguarda misure di sostegno dell’attività giuridica del beneficiario che non limitino la capacità di agire di quest’ultimo, ma ne garantiscono soltanto il miglior esercizio. La presenza di un difensore diventa, invece, necessaria qualora le misure siano idonee a incidere sui diritti fondamentali della persona, in particolar modo quando il giudice dispone limitazioni o decadenze previste dalla legge per l’interdetto o l’inabilitato. A riguardo, il comma 4 dell’art. 411 c.c. prevede che il giudice tutelare, nel provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, o anche in un secondo momento, può disporre l’estensione di determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti dalla legge per l’interdetto o l’inabilitato, al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, tenendo conto degli interessi di quest’ultimo. Pertanto, se a seguito di attenta valutazione, entrano in gioco diritti fondamentali della persona, è necessaria la presenza del difensore, diversamente, il ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno è libero. 

Ad incrementare la frequenza applicativa dell’istituto, è anche la semplicità della procedura, che inizia con ricorso, da proporre al giudice tutelare competente per territorio, nel tribunale del luogo nella cui circoscrizione il beneficiario ha la residenza o il domicilio effettivo.  

Sulla competenza per territorio, prevista per agevolare il beneficiario, si è espressa anche la giurisprudenza, stabilendo che: “La “ratio legis” sottesa alla individuazione dell’organo competente per la tutela dell’incapace è quella di offrire al medesimo “il servizio pubblico di protezione a lui più vicino”, nel rispetto della dignità del protetto e nella ricerca della soluzione giuridica a lui più confacente. E, allora, è l’organo del luogo dove l’adulto incapace effettivamente vive a dovere curare il percorso fisiologico del soggetto sub protezione. Il criterio per la competenza territoriale, pertanto, è in via primaria quello della cd. residenza abituale (“forum conveniens”)”( Trib. Varese, sez I, 16.02.2012).

Legittimati a proporre ricorso sono i soggetti di cui all’417 c.c. tra cui compaiono il coniuge, il convivente, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo, il tutore, il curatore o il Pubblico Ministero, nonché il beneficiario stesso.

Il giudice tutelare deve ascoltare personalmente il beneficiario ai fini di valutarne le esigenze e decidere se e quale protezione giuridica sia necessaria nel caso concreto.  A ben vedere, dall’incapacità del soggetto, non può discendere, a priori, la necessità di una tutela giuridica, ben potendosi configurare una situazione in cui, essendo il soggetto ben protetto dalla famiglia e ben inserito nella società, quest’ultimo risulti già sufficientemente tutelato, come stabilito dalla giurisprudenza di merito (Trib. Busto Arsizio, sez. Gallarate, decreto del 12.10.2011).

Il provvedimento finale, il cui contenuto è previsto dall’art. 405 c.c., è un decreto immediatamente esecutivo che individua la persona cui è affidato l’incarico di amministratore di sostegno (scelta avendo riguardo esclusivamente agli interessi del beneficiario) e che determina la durata, gli atti, l’oggetto, e i limiti dell’incarico.

E’ opportuno tenere sempre a mente la circostanza che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno, a differenza dell’interdetto, non perde la capacità legale, anzi, secondo l’art. 409 c.c., “Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno. Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può quindi compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.”

Risulta chiaro che, con l’amministrazione di sostegno, il legislatore ha introdotto uno strumento particolarmente flessibile poiché le caratteristiche del provvedimento di nomina, sono stabilite caso per caso, attraverso la valutazione del giudice. A tal proposito, si è espressa anche la Suprema Corte, affermando che spetta al giudice valutare se il contenuto dell’amministrazione di sostegno sia conforme alle concrete esigenze del beneficiario, tenendo conto del tipo di attività da compiersi, nonché della gravità della malattia o condizione dell’interessato, e infine di tutte le altre circostanze del caso concreto. (Cass. Civ. n. 18320 del 25.10.2012).

Il provvedimento esecutivo che prevede la nomina dell’amministratore di sostegno è, dunque, effettivamente disegnato, come un “vestito su misura”, secondo le esigenze concrete del soggetto da tutelare.

Tale caratteristica rappresenta, senza alcun dubbio, il principale elemento di differenziazione dell’istituto rispetto alle tradizionali figure di protezione giuridica dell’incapace, come riconosce anche la Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 13584/2006, stabilisce che: “con l’amministrazione di sostegno il legislatore ha inteso configurare uno strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto, che si distingue dalla interdizione non sotto il profilo quantitativo, ma sotto quello funzionale: ciò induce a non escludere che, in linea generale, anche in presenza di patologie particolarmente gravi, possa farsi ricorso sia all’uno che all’altro strumento di tutela, e che soltanto la specificità delle singole fattispecie, e delle esigenze da soddisfare di volta in volta, possa determinare la scelta tra i diversi istituti, con l’avvertenza che quello della interdizione ha comunque carattere residuale, intendendo il legislatore riservarlo, in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano, a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura.” (Cass. Civ. sez.I,12.06. 2006, n. 13584).

L’avvertimento    della Corte          riguardo     al       carattere     comunque   residuale dell’interdizione, è stato ampiamente recepito dalla giurisprudenza di merito, che ritiene opportuno, in primo luogo, valutare l’eventuale conformità alle esigenze del destinatario dell’amministrazione di sostegno (Trib. Milano, sez. 9, n. 12932 del 03.11.2014), e dunque, solo ove non si riesca, nonostante la notevole possibilità di estensione, modulazione, integrazione dei provvedimenti adottabili nell’ambito della procedura in esame, a raggiungere un’adeguata tutela, ricorrere a misure più invasive (Tribunale di Teramo 14.02.2013 n. 134).

Quali sono, dunque, i criteri che devono guidare il giudice nella scelta della tutela adeguata?

In primo luogo, secondo la Corte di Cassazione, il giudice deve tenere conto del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario. Se tale attività corrisponde ad un’attività semplice, sia perché non rischia di pregiudicare gli interessi del beneficiario, sia per la semplicità o ordinari età delle operazioni da svolgere (come ad esempio il ritiro della pensione o la gestione di un conto bancario di non rilevante entità), il giudice dovrà propendere per l’amministrazione di sostegno. Al contrario, dovrà valutare la possibilità di dichiarare l’interdizione, quando l’attività in questione, per particolari circostanze del caso, si riveli complessa, nel suo stesso svolgimento, ovvero quando il soggetto rischi di pregiudicare i suoi stessi interessi. (Cass. Sez. I, 26 ottobre 2011 n. 22332).  Questo sembra essere il criterio guida.

Un ulteriore criterio che il giudice dovrà considerare nella valutazione dell’istituto da applicare è poi quello della gravità della malattia o condizione del soggetto da tutelare (Cass. Sez. I, 26 ottobre 2011 n. 22332) che, tuttavia, non può assurgere a criterio “esclusivo” nella decisione del magistrato (Cass. 22 aprile 2009 n. 9628).

A ben vedere, sembra potersi escludere che il criterio da utilizzare possa essere solo quello quantitativo, correlato cioè al grado di infermità psichica del soggetto, come confermato sia dalla giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, Sez. I civ., 26 luglio 2013 n. 18171), che da quella di merito (Tribunale di Lecce Sez, I, 16.05.2013). Piuttosto, il criterio prioritario da utilizzare deve essere quello funzionale, che tenga cioè conto, come già chiarito, del tipo di attività da compiersi per conto del beneficiario. E’ quindi evidente come non sia la gravità della malattia a costituire “l’ago della bilancia” nella valutazione del giudice, circostanza confermata anche dal fatto che spesso, per situazioni simili, il giudice tutelare può approntare e prevedere misure di tutela diverse.

In effetti, l’interdizione e l’inabilitazione sembrano, ad oggi, essere ridotte a misure residuali. Tale circostanza ha portato alla luce, addirittura, dubbi circa la permanenza di tali figure nell’ordinamento. A tal proposito, è opportuno ribadire che, pur essendo le misure dell’interdizione e dell’inabilitazione più invasive rispetto all’amministrazione di sostegno, quest’ultima figura di tutela, non abroga le precedenti, così come esplicitamente chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza del 9 dicembre 2005, n. 440. In questa pronunzia la Corte, sulla mancanza di caratteri differenziali tra i due istituti tradizionali e l’amministrazione di sostegno, si è espressa precisando che “l’ambito di operatività dell’amministrazione di sostegno può coincidere con quelli dell’interdizione o dell’inabilitazione”. La Corte della Leggi stabilisce, infatti, che “la complessiva disciplina inserita dalla legge n. 6 del 2004 sulle preesistenti norme del codice civile affida al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità; e consente, ove la scelta cada sull’amministrazione di sostegno, che l’ambito dei poteri dell’amministratore sia puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto. Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, estesa per l’inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l’interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria”.

Alla luce della pronunzia di cui sopra, si deduce chiaramente come, secondo la Consulta, l’ambito applicativo delle due figure tradizionali di protezione giuridica, rispetto all’amministrazione di sostegno, è stato ridotto, ma non del tutto eliminato. Pertanto, allo stato, non sembra possibile parlare di una vera e propria abrogatio, se pur implicita, dell’interdizione e dell’inabilitazione, la cui applicazione resta, comunque, residuale, rispetto all’amministrazione di sostegno.

Da tutti i rilievi svolti si comprende la portata innovativa dell’amministrazione di sostegno che, attraverso una procedura flessibile, appresta al soggetto incapace una tutela meno invasiva e maggiormente rispettosa delle esigenze concrete di protezione.

L’amministrazione di sostegno è totalmente incentrata sulla tutela del soggetto debole, che deve essere aiutato e, comunque, non emarginato dalla società. L’idea di tutelare la società dai soggetti interdetti o inabilitati, considerati come un pericolo per la collettività, viene, dunque, completamente abbandonata e superata dal legislatore italiano. Le prescrizioni della Legge n. 6/2004 si pongono, peraltro, perfettamente in linea con il panorama europeo e internazione. Volgendo lo sguardo all’Europa, si notano le esperienze della Germania e dell’Austria che hanno, da tempo, abbandonato gli istituti dell’interdizione e inabilitazione, dotandosi invece di una figura unica per la protezione degli incapaci, il betreuer, un assistente fiduciario che, munito di poteri ampi e flessibili, coadiuva il soggetto. Anche in Francia si segnala positivamente l’istituto della sauvergarde de justice, che, introdotto nel 1968, ha riscosso sempre maggior successo grazie alla semplicità della procedura, attivabile su semplice segnalazione medica e controllo del Procuratore della Repubblica.

Il quadro si completa rilevando che la Legge n. 6/2004 è pienamente compatibile con le convenzioni internazionali, come anche affermato dai Giudici della Suprema Corte, i quali stabiliscono che:

 “La disciplina normativa nell’amministrazione di sostegno è pienamente compatibile con la Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, ratificata dall’Italia con gli art. 1 e 2 l. 3 marzo 2009 n. 18, nella parte che concerne l’obbligo degli Stati aderenti di assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica siano proporzionate al grado in cui esse incidono sui diritti e sugli interessi delle persone con disabilità, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità indipendente ed imparziale (art. 1 e 2), anche in ordine al decreto del giudice tutelare, il quale preveda l’assistenza negli atti di ordinaria amministrazione specificamente individuati, nonché, previa autorizzazione del giudice, di straordinaria amministrazione, ferma restando la facoltà del beneficiario di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana, con il dovere dell’amministratore di riferire periodicamente in ordine alle attività svolte con riguardo alla gestione del patrimonio dell’assistito, nonché in ordine ad ogni mutamento delle condizioni di vita personale e sociale dello stesso.” (Cassazione civile   sez. I 25/10/2012 n. 18320).

Si può quindi concludere ribadendo come l’amministrazione di sostegno goda di una sempre maggiore fortuna applicativa poiché si è rivelata, sia uno strumento realmente capace di adattarsi alle esigenze del soggetto debole sia, nello stesso tempo, idoneo a garantire la tutela necessaria nella fattispecie concreta.