Il sostentamento economico del figlio nato al di fuori del vincolo matrimoniale. Ancora problematiche ed incertezze applicative.
L’ordinanza della I° Sezione della Corte di cassazione civile n.8362 del 22.03-03.04.2007 è considerata, a ragione, come un punto cardine di svolta interpretativa, successivamente all’entrata in vigore della L. 54/2006, in materia di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dalla costanza del matrimonio.
Preferisco usare quest’ultimo termine, piuttosto che quello di figli naturali, poiché lo ritengo più idoneo ad esprimere l’attuale realtà familiare del nostro paese e, soprattutto, perché lo considero lontano dalla dicotomia “filiazione legittima e non” che tanto ancora penalizza, non soltanto a parole, i figli nati dalla unioni di fatto. In realtà è ormai da anni costante, anche in Italia come in tutti i paesi europei, l’aumento del numero dei figli nati da genitori non uniti dal vincolo matrimoniale. Pertanto, parlare ancora di figli legittimi e figli naturali appare quasi una forzatura tendente a marcare differenze che non dovrebbero esistere.
In ogni caso, non può tacersi che il termine “tecnicamente e giuridicamente corretto” è ancora quello di figlio naturale. In tal senso una modifica terminologica da parte del legislatore sarebbe forse opportuna, per non dire necessaria.
Ciò doverosamente premesso, veniamo al significato ed alla portata dell’intervento della Suprema Corte. Ho letto, ed apprezzato, alcuni articoli di validi colleghi Avvocati ed operatori del settore, così come ho ascoltato relazioni e partecipato a dibattiti sull’argomento.
Il risultato da perseguire è per tutti, indubbiamente, quello di assicurare al figlio in quanto tale, a prescindere dalla circostanza che sia nato in costanza o fuori del vincolo matrimoniale, le medesime forme di tutela, idonee a garantirlo e proteggerlo in tutti i contesti e le situazioni in cui vive.
Non ripercorro in questa sede l’iter processuale che ha portato all’esame della questione da parte della Cassazione (con le diverse tesi del Tribunale per i minorenni e del Tribunale ordinario di Milano ed il conseguente sollevato conflitto di competenza), né il ragionamento e le argomentazioni della Suprema Corte, ampiamente dibattuti ed esaminati. Desidero, invece, soffermarmi sugli aspetti applicativi pratici che derivano dal riconoscimento del Tribunale per i minorenni quale organo deputato all’esame, ed alla soluzione, anche delle problematiche economiche legate al mantenimento del figlio nato fuori dal matrimonio.
In particolare, mi riferisco ad alcune questioni ancora irrisolte, rispetto alle quali ho anche richiesto ed ascoltato l’autorevolissimo parere del Presidente f.f. del Tribunale per i minorenni di Roma Dott.ssa Isabella Foschini:
1) la problematica relativa al giudice competente nella circostanza in cui venga richiesta esclusivamente una pronunzia di tipo “economico”, legata cioè al mantenimento del minore;
2) quella relativa al rito innanzi al Tribunale per i minorenni e all’adeguamento dello stesso alle nuove istanze proponibili dalle parti;
3) quella, infine, relativa alla natura di titolo esecutivo ed alla apposizione della formula esecutiva ai provvedimenti del Tribunale per i minorenni.
Per quanto riguarda la prima questione, gli orientamenti dei singoli Tribunali ordinari paiono essere ancora, nonostante le indicazioni fornite dalla Suprema Corte, non del tutto concordi. Infatti, accanto a quegli uffici che, a fronte della richiesta di un provvedimento di natura esclusivamente economica, ritengono di essere comunque competenti, non considerando ciò in contrasto con l’indirizzo e la ratio della pronunzia 8362/07, ve ne sono altri (in particolare il Tribunale ordinario di Roma) che considerano, invece, competente il Tribunale per i minorenni. Quest’ultimo indirizzo, peraltro, pare essere in contrasto con l’orientamento di questi stessi organi (compreso il Tribunale per i minorenni di Roma) che considerano invece, in questi casi, ancora competente il giudice ordinario. Ciò comporta, a tutt’oggi, l’insorgere di conflitti di competenza.
In qualità di legale investito del problema (figlio nato da una coppia non coniugata, complessivamente d’accordo sulle modalità di affidamento e di frequentazione del minore ma in disaccordo sulla misura del contributo al mantenimento), consapevole dell’indirizzo interpretativo del Tribunale ordinario di Roma, ho ritenuto di risolvere in maniera pratica la questione, per evitare un possibile conflitto di competenza tra giudici che avrebbe necessariamente comportato un notevole allungamento dei tempi decisionali, con conseguente inevitabile pregiudizio per il minore. Ho, infatti, provveduto a presentare il ricorso direttamente al Tribunale per i minorenni chiedendo tuttavia, accanto alla statuizione di valenza economica, anche un pronunciamento di “conferma o ratifica” delle attuali condizioni di affidamento concordate dai genitori e di fatto operanti. Tale soluzione pragmatica garantisce, a mio avviso, da un lato, una sacralità ed eventuale “opponibilità” delle condizioni di affidamento ratificate dall’organo giudiziario, dall’altro evita qualsivoglia possibile rischio di declaratoria di incompetenza da parte del Tribunale per i minorenni, che risulta investito non soltanto della questione economica, ma anche di quella più ampia attinente all’esame dell’intera questione dell’affidamento. Tuttavia, a prescindere dall’escamotage di cui sopra, è innegabile che persista una radicale differenza di orientamento tra alcuni giudici, con tutto quanto ne consegue.
La seconda questione riguarda, invece, la c.d. atipicità del rito innanzi al Tribunale per i minorenni che, come noto, non è puntualmente regolamentato come quello innanzi al Tribunale ordinario e lascia aperte questioni quali, ad esempio, quella dell’inapplicabilità del procedimento ex art. 148 Cod. Civ. nei confronti del genitore inadempiente. La genericità del mero richiamo al procedimento camerale di cui all’art. 38 Disp. Att. Cod. Civ., potrebbe comportare incertezze procedurali e diversità di valutazione e soluzione dei singoli casi concreti.
In tal senso i giudici delegati del Tribunale per i minorenni di Roma hanno, da parte loro, iniziato a prevedere espressamente, nei decreti di fissazione della udienza di comparizione delle parti, l’obbligo preventivo di depositare la documentazione relativa al reddito ed al patrimonio dei genitori degli ultimi 3 anni, analogamente a quanto previsto innanzi ai Tribunali ordinari. A prescindere da queste iniziative senza dubbio positive, sembra, comunque, inevitabile che ciascun giudice delegato e, di conseguenza, ciascun collegio, sia destinato ad istruire e decidere la controversia secondo parametri diversi, legati alle situazioni contingenti ed alle convinzioni e sensibilità di ciascun giudicante. Allo stato le pronunzie in materia sono ancora troppo limitate per stabilire se esista una sostanziale univocità di prassi ovvero se vi siano rilevanti differenze di trattazione e decisione nelle controversie.
La terza questione, infine, è quella che riguarda il dibattuto tema della attribuzione della natura di titolo esecutivo ai provvedimenti camerali (decreti) assunti nei procedimenti ex art.317 bis cod.civ.. In buona sostanza la procedura camerale viene attuata, e si conclude, mediante decreti che non costituiscono, per legge, titoli esecutivi e per i quali non è dunque prevista l’apposizione della c.d. formula esecutiva. Ciò è stato chiaramente denunziato da vari giudici ed operatori del diritto nei numerosi incontri successivi all’entrata in vigore della L.54/2006 (ricordo, tra l’altro, un accorato appello, nel corso di un convegno presso la sede della Cassa Forense, della Dott.ssa Magda Brienza allora Presidente del Tribunale per i minorenni di Roma).
In realtà, seppure l’art. 474 Cod. Proc. Civ. non contempli espressamente tali decreti, è altrettanto vero che un’interpretazione restrittiva della norma porterebbe a non garantire e tutelare allo stesso modo i figli nati in costanza di matrimonio e quelli nati da genitori non coniugati, comportando una chiara violazione dei diritti costituzionalmente garantiti, in spregio anzitutto degli artt. 2,3 e 30 della Costituzione, oltreché di tutte le Convenzioni internazionali a tutela dei diritti dell’uomo e dell’infanzia. In tal senso alcuni giudici hanno ritenuto di esplicitare, nei provvedimenti emessi, la loro valenza di titolo esecutivo, qualificandoli espressamente come immediatamente esecutivi e pretendendo l’apposizione della c.d. formula da parte delle cancellerie, altri stanno vagliando la possibilità di decidere con sentenza. Nel caso del Tribunale per i minorenni di Bologna, il Presidente, Dott. Maurizio Millo, è arrivato anche, nell’aprile scorso, ad assumere un apposito provvedimento nel quale :“…autorizza la cancelleria ad apporre la formula esecutiva, secondo le ordinarie prescrizioni del codice di procedura civile, ai decreti del Tribunale che siano stati dichiarai immediatamente efficaci ai sensi dell’art. 741 c.p.c., o quando non siano più soggetti ad impugnazioni per scadenza dei termini”. Anche presso il Tribunale per i minorenni di Roma la prassi non è ancora omogenea e ciascun giudice opera secondo il proprio personale convincimento interpretativo. Per quanto riguarda, comunque, la specifica questione della apposizione della formula esecutiva, mentre il precedente Presidente, Dott.ssa Brienza, aveva accolto una istanza da parte di un difensore avverso il diniego della cancelleria, l’attuale Presidente f.f., Dott.ssa Foschini, non è stata ancora investita del problema. Ella, in ogni caso, non è sembrata incline ad assumere un provvedimento di portata “generale” quale quello emesso dal Presidente del Tribunale di Bologna ritenendo, al contrario, di doversi pronunziare esclusivamente a seguito di eventuali istanze di parte. Appare comunque evidente, anche con riferimento a quest’ultima questione, la diversità di opinioni ed orientamenti tra i giudici.
A fronte delle riflessioni svolte e delle problematiche evidenziate si presenta quindi, ad avviso dello scrivente, necessario e non più rinviabile un intervento legislativo in materia che, seppure auspicabile in via generale e sistematica (per affrontare e superare, in via definitiva, la questione della competenza unica in materia di famiglia e minori), potrebbe anche limitarsi ad un mero intervento integrativo per regolamentare i punti ancora oggetto di incertezza e differenze interpretative. Si tratterebbe di uno sforzo normativo minimo, senza necessità di alcuna copertura di spesa, che garantirebbe chiarezza ed univocità di applicazione in una materia tanto delicata quanto ricca di risvolti non soltanto giuridici, ma anzitutto sociali.