Articolo Pubblicato sulla rivista Filodiritto il 10 ottobre 2019. Tutti i diritti sono di Filodiritto.
http://www.filodiritto.com è uno dei primi portali d’informazione giuridica in Italia. Dal 2001 offre informazioni e notizie su tutto ciò che riguarda il diritto. Leggi l’articolo direttamente sul sito Filodiritto.it
Una figura che continua ad acquisire sempre maggiore valenza ed importanza, sia a livello sociale che economico, è quella dei Fondi di assistenza sanitaria integrativa, la cui forma giuridica più comune è costituita dall’associazione, in particolare dall’associazione non riconosciuta.
In realtà, occorre chiarire, a scanso di qualsivoglia equivoco, tanto sostanziale quanto terminologico, che si tratta di una categoria più generale di enti che forniscono non soltanto un’assistenza integrativa, ma anche complementare e sostitutiva rispetto alle prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale.
La genesi normativa dei Fondi sanitari è stata lunga ed articolata.
Si è partiti, sulla spinta di esperienze di prassi, con le previsioni dei Decreto Legislativo 502/1992 e 517/1993, che hanno sancito il superamento del monopolio assistenziale pubblico e previsto la possibilità di istituire Fondi integrativi sanitari, finalizzati esclusivamente a fornire prestazioni aggiuntive rispetto a quelle assicurate dal SSN.
Si è passati, successivamente, ad una prima definizione di sanità integrativa con la cosiddetto Riforma Bindi (Decreto Legislativo 299/1999), fino ad arrivare, inizialmente con il Decreto Legislativo 41/2000 e la Legge 244/2007 e, quindi, con i Decreti Turco e Sacconi del 2008 e 2009, ad una più ampia ed articolata legislazione, che racchiude e regolamenta molteplici realtà, tutte operanti nel campo dell’assistenza socio-sanitaria.
Attraverso tale evoluzione legislativa si è fornito un supporto normativo e regolamentare a tutti quegli enti, casse e società di mutuo soccorso, aventi fini esclusivamente assistenziali, di cui all’articolo 51 comma II lettera a) del D.P.R. 917/1986 (cosiddetto TUIR) e successive modificazioni, che avevano sempre operato nel campo dell’assistenza, anzitutto sanitaria e non solo.
Come sopra già chiarito, ad oggi i Fondi di assistenza sanitaria forniscono tanto prestazioni integrative, quanto complementari e sostitutive rispetto a quelle offerte dal Servizio Sanitario Nazionale: dall’assistenza odontoiatrica, ai grandi interventi invasivi, dalle prestazioni fisioterapiche agli interventi di routine, fino alla gestazione ed ai parti. L’assistenza garantita dagli odierni Fondi sanitari copre, in buona sostanza, la maggior parte delle prestazioni socio-sanitarie.
I Fondi, per potere operare, devono essere iscritti all’Anagrafe dei Fondi Sanitari, istituita presso il Ministero della salute con il citato Decreto Ministeriale 31.03.2008 (citato Decreto Turco) e regolamentata dal DM 27.10.2009 (citato Decreto Sacconi).
Possono iscriversi all’Anagrafe, sostanzialmente, due tipologie di fondi: i Fondi sanitari integrativi del Servizio Sanitario Nazionale, istituiti o adeguati ai sensi dell’articolo 9 Decreto Legislativo 502/1992 e successive modificazioni (cosiddetto Fondi doc) e gli Enti, casse e società di mutuo soccorso aventi esclusivamente fine assistenziale di cui all’articolo 51 comma II lettera a) del D.P.R. 917/1986 e successive modificazioni (cosiddetto Fondi non doc). I primi operano esclusivamente con riferimento ad attività di tipo integrativo, i secondi sono, invece, caratterizzati da un fine più ampio, e coprono prestazioni non soltanto integrative, ma anche complementari e sostitutive rispetto a quelle fornite dal SSN.
Gli assistiti dei suddetti enti possono essere lavoratori dipendenti, quadri, dirigenti, liberi professionisti ed, eventualmente, anche i loro familiari. Essi devono uniformarsi, rispetto alla tipologia e caratteristiche delle prestazioni, nonché al loro rimborso, alle previsioni statutarie e/o regolamentari dei Fondi stessi.
È indubbio come tali realtà rappresentino oggi, nel loro complesso, il cosiddetto “secondo pilastro” del sistema sanitario italiano, che si affianca, supportandoli ed integrandoli, al Servizio sanitario nazionale ed all’offerta, sostanzialmente profit, fornita delle imprese assicurative.
Tra i Fondi di assistenza sanitaria attualmente operanti particolare rilevanza assumono quelli di derivazione contrattuale, cioè quelli che promanano direttamente dagli accordi previsti nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale (tra gli altri, per citarne soltanto alcuni: il Fasi cioè il Fondo di assistenza sanitaria dei dirigenti delle aziende industriali; il Fasdac ossia il Fondo di assistenza sanitaria dei dirigenti commerciali e metàSalute cioè il Fondo di assistenza sanitaria dei lavoratori metalmeccanici).
Essi operano, a fronte del versamento di una quota contributiva, a fini esclusivamente assistenziali, nell’ambito di un sistema di mutualistica, senza un principio di selezione del rischio e, comunque, senza alcun fine di lucro. Ciò con lo scopo di erogare, ai propri assistiti, prestazioni, integrative, complementari e sostitutive di assistenza sanitaria o socio-sanitaria. Si tratta, dunque, per la maggioranza dei casi, di Fondi cosiddetto “non doc”.
L’attività dei suddetti Fondi viene gestita sulla base di propri Statuti e Regolamenti e svolta, generalmente, attraverso un proprio Nomenclatore e un proprio Tariffario, dove sono riportate tutte le tipologie di prestazioni rimborsabili agli assistiti del Fondo e tutte le misure delle tariffe di rimborso.
La forma giuridica più frequente che caratterizza questi enti è, come inizialmente accennato, quella dell’associazione non riconosciuta (in particolare di secondo livello o secondo grado), inquadrabile, dunque, nello schema generale dell’articolo 36 Codice Civile.
Siamo, pertanto, in presenza di realtà configurabili come enti collettivi, frutto dell’autonomia negoziale, costituenti un centro autonomo di interessi fornito di un patrimonio distinto da quello dei singoli associati. Tali enti collettivi, seppure privi di personalità giuridica, rappresentano, comunque, soggetti di diritto a tutti gli effetti, che vengono disciplinati, in maniera sostanzialmente libera, dagli accordi tra gli associati.
Questa tipologia di associazione, pur rientrando tra gli enti non riconosciuti, cioè tra quei soggetti privi di personalità giuridica, è dunque dotata, come ormai pacificamente riconosciuto da dottrina e giurisprudenza, di una propria “soggettività giuridica”.
Ciò rende l’associazione non riconosciuta un soggetto autonomo rispetto agli associati, tanto sul piano sostanziale, quanto su quello processuale, con conseguente legittimazione a stare in giudizio nelle persone alle quali, secondo gli accordi, è stata conferita la rappresentanza legale (cioè la presidenza o la direzione dell’associazione). Senza, quindi, necessità di essere rappresentata dai propri associati.
A ben vedere, lo statuto (quando presente) e, comunque, l’atto costitutivo di un’associazione non riconosciuta rappresentano l’espressione di una libera autonomia negoziale, frutto degli accordi tra gli associati. Tali atti sono, dunque, regolati dai principi generali del negozio giuridico, ovviamente fermi i caratteri propri del contratto di associazione.
Da ciò derivano, tra le altre, due conseguenze fondamentali:
la libertà di forma ed organizzazione delle associazioni non riconosciute (peraltro espressamente sancita dall’articolo 36 del codice civile, allorquando precisa che l’ordinamento interno e l’amministrazione sono regolate dagli accordi tra gli associati);
l’inesistenza, a fronte del perseguimento di uno scopo comune che rappresenta il fine associazionistico, di un contraente cosiddetto debole (a cui eventualmente riconoscere la particolare tutela prevista per le clausole vessatorie).
Peraltro, chiarito quanto sopra, è necessario precisare, con riferimento ai Fondi sanitari derivanti dalla contrattazione collettiva, che l’associazione non riconosciuta debba configurarsi come un’associazione di “secondo livello” (o “secondo grado”) rispetto alle associazioni rappresentative della categoria, sicché, ai singoli beneficiari delle prestazioni erogate, cioè agli iscritti o assistiti dei Fondi, non può riconoscersi in alcun modo la qualità di associato. Ciò ha conseguenze fondamentali, sia con riferimento all’applicazione dell’articolo 24 Codice Civile, sia rispetto al superamento del generale principio di democraticità all’interno delle associazioni.
Tale carattere di associazione “di secondo livello” è pacificamente riconosciuto dalla stessa giurisprudenza di legittimità e trova il proprio fondamento nella funzione di rappresentatività e tutela degli interessi dei propri iscritti riconosciuto alle associazioni di categoria, a cui viene assegnato, dal nostro ordinamento, un ruolo centrale nella contrattazione collettiva.
L’importanza di queste realtà associazionistiche, ed in generale dei Fondi di assistenza sanitaria integrativa, non può sfuggire ad un occhio attento. A prescindere dagli aspetti tecnico-giuridici che le caratterizzano, esse assumono una rilevanza economica e sociale straordinaria, contribuendo a garantire, in un contesto delicato come quello socio-sanitario attuale, la sostenibilità complessiva del sistema.