Ho già avuto modo di scrivere ed esprimere la mia opinione sui mali che affliggono la giustizia civile in Italia. Mi riporto, in tal senso, a tutte le considerazioni svolte nel mio intervento pubblicato su FiloDiritto in data 01.07.2009.
Ciò premesso, vorrei aggiungere ancora qualche riflessione, anche a seguito della mia partecipazione al convegno organizzato dalla Unione Nazionale Camere Civili presso l’Università La Sapienza di Roma, svoltosi il 28.05 u.s., dall’emblematico titolo: “Processo al Processo. La crisi della giustizia civile e le (false) soluzioni del problema: ovvero chi sono i colpevoli?”. L’incontro si è svolto simulando un processo, con interventi di accusa e difesa e con verdetto finale. La formula accattivante e l’altissima qualità intellettuale e professionale degli intervenuti hanno reso ancora più interessante e coinvolgente quello che ritengo essere uno degli argomenti di maggiore importanza per il futuro giuridico ed economico del nostro paese.
Nell’apprezzare il dibattito e le varie opinioni manifestate, pur trovandomi sostanzialmente d’accordo con le conclusioni raggiunte, vorrei tuttavia esprimere due considerazioni di fondo che, seppure richiamate (in particolare nel saluto del Presidente della Corte d’Appello di Roma Dott. Santacroce e non solo), sono rimaste a margine della discussione.
Peraltro tali considerazioni sono condivise da moltissimi Colleghi Avvocati civilisti e si collegano a quanto già espresso nei miei precedenti scritti.
In particolare sono convinto che, a prescindere dalla bontà o meno dei vari interventi normativi che si sono succeduti a partire dal 1990 ad oggi, occorra, sempre con maggiore urgenza, addivenire ad una drastica riduzione dei riti attualmente in essere, che complicano ed allungano a dismisura i tempi della giustizia civile. Siamo, infatti, in balia di oltre 25 riti diversi che moltiplicano e diversificano gli adempimenti, rendendo gravosissima l’attività di avvocati, magistrati e personale di cancelleria.
In realtà, a modesto avviso dello scrivente, è necessario che si arrivi, nell’ambito di tutte le controversie civili, alla previsione di un unico rito monocratico per l’intero primo grado di giudizio, con eliminazione di ogni e qualsivoglia distinzione per materia. Basterebbe poi prevedere, accanto all’unico rito di primo grado, valido ed applicabile indistintamente a tutte le controversie di cognizione, una procedura semplificata per i provvedimenti d’urgenza e mantenere il procedimento di ingiunzione ex art. 633 e ss c.p.c.. In particolare riterrei auspicabile la previsione ed applicazione, per tutte le controversie civili, del c.d. rito del lavoro, con l’introduzione del giudizio attraverso ricorso e svolgimento del processo secondo le norme attualmente in vigore.
Si tratterebbe di una semplificazione drastica, senz’altro epocale, e tuttavia possibile, peraltro senza rilevanti aumenti di spesa ed usufruendo di norme per la maggioranza già in essere. Resta inteso che un simile intervento necessiterebbe, comunque, di un legislatore preparato e coeso, in grado di riscrivere in modo semplice e razionale il nostro codice di procedura civile.
Tale esigenza, vivamente sentita da tutti gli operatori del diritto civile, sembrava essere stata compresa dal legislatore che, proprio in occasione dell’ultima novella del 2009, si era impegnato a ridurre in maniera sostanziale i riti previsti. Tuttavia, almeno sino ad oggi, l’impegno sembra essere rimasto lettera morta.
Sono consapevole che una simile estrema semplificazione, proprio perché tale, potrebbe incontrare opposizioni in quanti ritengono troppe, e troppo complicate, le istanze legate al nostro processo civile.
Tuttavia, non v’è chi non veda come, a fronte di una situazione al limite del collasso, sia necessaria una soluzione coraggiosa e di sistema, da assumere in via definitiva e senza compromessi.
Dobbiamo sforzarci di superare la nostra cultura “particolaristica e specialistica” del processo civile, per abbracciare un’idea più ampia ed onnicomprensiva dello stesso che permetta di semplificarne al massimo meccanismi e tempi.
Si tratta di tenere sempre a mente (così come con forza ribadito in occasione del suo intervento dal Dott. Mario Barbuto, Presidente della Corte d’Appello di Torino) che uno dei requisiti fondamentali per un giusto processo è quello che esso si svolga in tempi ragionevoli, considerando tale circostanza come essenziale e prioritaria nello svolgimento dell’attività giurisdizionale.
L’altra considerazione che mi sento di porre all’attenzione è quella legata alla cronica carenza di personale, strutture e strumenti che caratterizza tutti gli uffici giudiziari ed in particolare quelli che si occupano delle materie civili. Problematica anch’essa rimasta parzialmente in ombra nell’ambito del convegno (certamente anche per il taglio scientifico dello stesso) e, comunque, affrontata soltanto in occasione dell’intervento della stampa.
In particolare, sono rimasto sconcertato nell’ascoltare un giornalista (di un noto quotidiano) affermare che nel nostro paese i fondi per la giustizia sono anche troppi e gli addetti ampiamente sufficienti.
Chiunque, infatti, frequenti le aule di Tribunale, o di Corte d’Appello o degli Uffici del Giudice di Pace è perfettamente consapevole di come le strutture siano fatiscenti, gli strumenti informatici obsoleti ed insufficienti, il personale drammaticamente all’osso. Negli ultimi vent’anni non v’è stato, almeno a livello di personale amministrativo, alcun ricambio generazionale, non sono stati indetti concorsi, né si è provveduto alla riqualificazione degli addetti.
I fondi a disposizione del ministero non sono mai stati indirizzati in maniera convinta per le effettive istanze del comparto della giustizia civile, restando sempre assorbiti da altre diverse esigenze. Eppure, nonostante tali innegabili dati di fatto, c’è il rischio che passi nell’opinione pubblica l’errata convinzione sopra richiamata.
Anche le esperienze di uffici virtuosi, tanto positive quanto eccezionali, non possono fare dimenticare da un lato, la necessità di aumentare il numero dei magistrati addetti alla funzione decisoria e, soprattutto, degli addetti alle cancellerie e, dall’altro, la necessità di predisporre strutture, strumenti e servizi tecnologici in grado di fare svolgere a tutti gli operatori del diritto le proprie funzioni e mansioni in maniera adeguata. La stessa necessaria ed improcrastinabile riforma delle circoscrizioni e degli uffici giudiziari, fondamentale anch’essa per una effettiva razionalizzazione della giustizia civile e non solo, non può prescindere da una seria riflessione su questo punto.
Attualmente ciò appare impossibile, almeno in base a quanto affermato, a più riprese, dai rappresentanti del ministero. Nuove assunzioni e nuovi strumenti hanno, infatti, un costo rilevante che, allo stato, non sembra possa essere affrontato.
Ciò anche alla luce dell’esborso sempre crescente necessario per fare fronte ai risarcimenti conseguenti alla legge Pinto, esborso che assorbe una rilevante fetta del bilancio ministeriale e rispetto al quale, peraltro, occorrerà trovare una soluzione (anche dolorosa).
Qualche addetto a tempo determinato, reclutato tra lavoratori posti in cassa integrazione, sta confluendo in alcuni uffici giudiziari particolarmente in difficoltà, non potendosi tuttavia considerare questa come una soluzione di sistema e, comunque, qualitativa. L’emergenza del processo civile è, anzitutto, emergenza organizzativa ed amministrativa, occorre prenderne atto.
Senza valutare le due questioni sopra ricordate non credo che riusciremo mai a dare una risposta definitiva, né a superare i gravissimi problemi che affliggono la giustizia civile.
Lo sforzo, è inutile negarlo, dovrà essere sia procedimentale, sia economico-organizzativo.