Verso l’Economia Circolare: la fine dell’economia dell’usa e getta.

di Avv. Gianluca Limardi

Articolo pubblicato in Rivista Ambiente Prevenzione e Soccorso N. 114-115/2018

Lo scorso 4 luglio sono entrate in vigore le quattro direttive, approvate dalla Commissione Europea, che compongono il cosiddetto “Pacchetto economia circolare”. Si tratta di un testo che rivoluzionerà l’approccio dell’Unione alla gestione dei rifiuti, andando a modificare non solo la direttiva “madre” sui rifiuti (Direttiva 2008/98/CE), ma anche la disciplina sulle discariche (Direttiva 1999/31/CE), la Direttiva sui veicoli fuori uso (Direttiva 2000/53/CE), su pile e accumulatori e relativi rifiuti (Direttiva 2006/66/CE), sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Direttiva 2012/19/CE) e sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio (Direttiva 94/62/CE).

Si chiude così un lungo percorso che ha impiegato ben 4 anni per dispiegarsi ma, soprattutto, inizia per l’Europa una nuova articolata sfida. Anche se il termine ultimo per il recepimento da parte degli stati membri è fissato per luglio 2020, ciascuno stato dovrà, da subito, fare i conti con gli impegni presi. Gli obiettivi posti dalle nuove direttive, infatti, richiedono tempo ed attenzione ad un ampio ventaglio di macrosettori identificati come prioritari: plastica, rifiuti alimentari, materie prime critiche, imballaggi, costruzione e demolizioni, biomassa e prodotti bio-based.

Tutte le quattro direttive del pacchetto muovono dalla premessa che la gestione dei rifiuti nell’Unione dovrebbe essere migliorata e trasformata in una gestione sostenibile dei materiali. Ciò al fine di salvaguardare, tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente, proteggere la salute umana, garantire un utilizzo accorto, efficiente e razionale delle risorse naturali, in particolare promuovendo i principi dell’economia circolare e coinvolgendo tutti gli attori, sia dal lato della produzione che del consumo.

L’economia circolare è, infatti, un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo e si pone come alternativa al modello lineare – basato sul classico schema “”usa e getta”.  Essa promuove una concezione diversa della realizzazione e del consumo di beni e servizi in cui i materiali e l’energia utilizzati per fabbricare i prodotti mantengono il loro valore più a lungo, i rifiuti sono ridotti al minimo e si utilizzano quante meno risorse possibili.

Le nuove norme indicano, anzitutto, che il ricorso alla discarica dovrà essere portato al di sotto del 10 % entro il 2035. Di pari passo è introdotto l’obbligo di riciclare almeno il 55 % dei rifiuti urbani domestici e commerciali entro il 2025; la percentuale salirà poi al 60% entro il 2030 ed al 65% entro il 2035. Ancora più stringenti le politiche riguardanti i materiali di imballaggio, che dovranno essere riciclati fino al 65% nei prossimi 7 anni e fino al 70% entro il 2030, ma con sotto-target distinti per i singoli materiali.

Per la prima volta si introduce nelle direttive anche la raccolta differenziata per i rifiuti tessili (obbligatoria dal 2025), l’umido e i rifiuti organici (entro il 2023) e quelli pericolosi domestici, come le vernici, i pesticidi, gli oli e i solventi (entro il 2022). La nuova legislazione prevede, inoltre, un maggiore utilizzo di strumenti economici di sostegno, assegnando un ruolo fondamentale ai produttori grazie a regimi di responsabilità estesa del produttore (EPR).

In linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, è previsto che gli Stati membri riducano, poi, gli sprechi alimentari del 30 % entro il 2025 e del 50 % entro il 2030, incentivando la raccolta dei prodotti invenduti e la loro ridistribuzione in condizioni di sicurezza.

Con questi nuovi provvedimenti viene, quindi, dato un deciso impulso alla transizione verso quel modello di economia in cui ogni prodotto non è più destinato necessariamente a giungere a fine vita. Anzi, l’obiettivo perseguito è di riutilizzare, riparare e riciclare i beni, in modo da evitare il più possibile che debbano essere smaltiti.

Un ruolo centrale in questo contesto sarà, pertanto, svolto dalle imprese che saranno chiamate ad abbandonare la consuetudine di fabbricare prodotti a vita breve per concentrarsi su una progettazione più a lunga durata, prolungando così la vita dei loro prodotti. Questa rappresenta senz’altro una sfida, ma anche una grande opportunità per chi sarà in grado di coglierla.

Dal canto loro i consumatori dovranno orientarsi verso scelte sostenibili. Ciò potrà avvenire anche grazie alla diffusione delle informazioni volte a favorire l’adozione di comportamenti più attenti verso il risparmio di risorse.

La transizione verso un’economia circolare risponde, pertanto, ad una logica sia ambientale, che economica. Un siffatto modello potrebbe, infatti, allentare le pressioni sull’ambiente, con ricadute positive sugli ecosistemi, la biodiversità e la salute umana. A titolo esemplificativo, secondo le stime della Commissione, la piena attuazione degli obiettivi prefissati in materia di gestione dei rifiuti ridurrebbe del 27% l’inquinamento del mare entro il 2030.

Un’economia circolare potrebbe, inoltre, portare ad aumentare la produttività delle risorse, dal momento che l’UE, secondo i dati che corredano il pacchetto presentato dalla Commissione europea, importa attualmente, in equivalente materie prime, circa la metà delle risorse che consuma. Considerando che le risorse, in particolare le materie prime essenziali, sono per lo più concentrate al di fuori dell’Unione europea, le industrie e la società europee riuscirebbero, in tal modo, a sganciarsi maggiormente dalle importazioni, diventando così sempre meno vulnerabili rispetto all’aumento dei prezzi, alla volatilità dei mercati e alla situazione politica dei paesi fornitori.

Infine, sul versante dell’occupazione, secondo uno studio dell’organizzazione no profit Worldwide Responsible AccreditedProduction (WRAP), sono già impiegate almeno 3.4 milioni di persone in attività connesse con l’economia circolare (riparazioni, rifiuti e ricilaggio, settori noleggio e leasing) e tale numero non potrà che aumentare.

L’Europa, con l’approvazione del “Pacchetto Economia Circolare”, ha, quindi, assolto il proprio compito. E’ ora il turno degli Stati membri che dovranno dimostrare come la salvaguardia dell’ambiente, il risparmio delle materie prime, le prospettive di new business per le imprese e di risparmio per i cittadini rappresentino delle effettive priorità per le politiche ambientali ed economiche nazionali.