Le Fondazioni: disciplina e inquadramento generale

Di Avv. Gianluca Limardi – Studio Limardi

Articolo Pubblicato sulla rivista Filodiritto il 15 ottobre 2020. Tutti i diritti sono di Filodiritto.
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Con il termine “Fondazioni” deve oggi intendersi una plurima realtà di enti che, partendo dall’originaria disciplina codicistica, hanno trovato ulteriore sviluppo e riconoscimento tanto in specifici interventi normativi, quanto in autonome codificazioni derivanti dalla prassi.

Gli articoli 14 e seguenti del Codice civile (Libro Primo, Titolo I delle Persone Giuridiche, Capo II delle Associazioni e Fondazioni) declinano la Fondazione come un ente dotato di personalità giuridica privata (caratterizzata da un riconoscimento formale), costituito da un fondatore per atto pubblico o disposizione testamentaria, il cui patrimonio sia destinato ad un fine possibile, lecito e di utilità sociale (caratterizzato cioè da “pubblica utilità) e sia adeguato al suo raggiungimento.

Il patrimonio della fondazione è, pertanto, destinato esclusivamente al raggiungimento dello scopo per la quale l’ente è stato costituito dal fondatore. Esso è attribuibile, una volta che venga riconosciuta, esclusivamente alla fondazione stessa, non anche al fondatore.

La fondazione, come del resto l’associazione, è caratterizzata dal perseguimento di uno scopo “altruistico/sociale/pubblico” e, comunque, dall’essenza di fini di lucro, per tale intendendosi l’assenza di ripartizioni di utili tra gli associati o tra i componenti dell’organismo (c.d. lucro soggettivo).

In tal senso, è ormai pacifico come, tanto le fondazioni, quanto le associazioni (così come, del resto i comitati), possano svolgere attività economica, purché volta a conseguire le risorse necessarie al perseguimento dello scopo istituzionale.

La fondazione, tuttavia, è una figura ben diversa dall’associazione. La prima, infatti, persegue il fine a causa e secondo la volontà “esterna” dell’originario fondatore, che le conferisce un patrimonio a tale scopo. La seconda, al contrario, nasce dalla volontà di più associati (almeno due), sempre per la realizzazione di uno scopo, che tuttavia viene perseguito attraverso l’attività e le determinazioni dei “soci” stessi.

Mentre la fondazione è costituita da un negozio unilaterale che, come abbiamo visto, può essere anche una disposizione testamentaria, l’associazione necessita di un atto costitutivo con la partecipazione di almeno due soggetti agenti.

Inoltre, mentre gli organi dell’associazione, poiché espressione della volontà degli stessi “soci” che la costituiscono, vengono eletti “democraticamente” (c.d. principio di democraticità), quelli della fondazione sono, invece, designati secondo le modalità previste dall’atto costitutivo o dallo statuto.

Nella configurazione “classica”, così come concepita in origine dal legislatore del 42, la fondazione viene costituita da un solo soggetto “fondatore”, attraverso atto pubblico o disposizione testamentaria, per uno scopo di “pubblica utilità” e viene dotata dallo stesso, in una unica soluzione, di un patrimonio idoneo al raggiungimento di tale fine (c.d. fondazione-erogazione).

Nell’ambito di tale configurazione, possiamo riscontrare diverse tipologie di fondazione a seconda dell’attività svolta. Quelle c.d. “operative” o “operating foundation” che gestiscono direttamente servizi, progetti o beni di interesse pubblico (monumenti, parchi, siti di interesse culturale, biblioteche, parchi etc); quelle c.d. “d’erogazione” o “grant-making foundation” che erogano risorse, tanto finanziarie quanto di competenze, a terzi (non svolgono, cioè, direttamente servizi, ma utilizzano il loro patrimonio per finanziare progetti ed attività, anche proposte da terzi, considerati vicini agli scopi statutari). Alcune fondazioni, poi, svolgono entrambe le tipologie di attività.  

La netta distinzione tra fondazioni ed associazioni, così come derivante dall’impostazione degli articoli 14 e ss codice civile, sta subendo, tuttavia, una progressiva erosione a fronte di una sempre più frequente prassi che tende a creare enti “ibridi”.  Infatti, accanto alla figura “tradizionale”, sono state create, tanto dal legislatore con apposite disposizioni normative, quanto dalla prassi e dalla dottrina, tipologie speciali di fondazione, ciascuna con caratteristiche diverse.

Sempre più frequente, in particolare, è il ricorso alla figura della c.d. fondazione di partecipazione (o fondazione – organizzazione). Si tratta di un fenomeno, diffusosi attraverso l’esperienza pratica, in particolare notarile, caratterizzato sostanzialmente da tre tratti comuni: 1) la presenza di una pluralità di fondatori, o comunque di partecipanti all’iniziativa, mediante un apporto non necessariamente economico ma di possibile diversa natura e, tuttavia, finalizzato ed utile al raggiungimento dello scopo prefissato; 2) la presenza di una partecipazione concreta ed attiva alla gestione della fondazione da parte di tutti i fondatori o partecipanti, attraverso la quale si stabilisce l’organizzazione e le regole di azione dell’ente in base alle esigenze dello stesso; 3) la presenza di un patrimonio che si forma progressivamente anche grazie all’intervento di soggetti conferenti diversi, e sopravvenuti, rispetto agli originari fondatori che hanno fornito la fondazione di un patrimonio iniziale, ma non autosufficiente e definitivo.

Il fenomeno, che si fonda sul principio di una concreta valorizzazione di tutti i partecipanti alla fondazione, è particolarmente interessante e necessita un autonomo e distinto approfondimento. È di tutta evidenza, infatti, la sua profonda differenza rispetto all’originario istituto codicistico.

Meritano, poi, una menzione anche le c.d. fondazioni di famiglia o d’impresa (istituite, nel caso familiare, per valorizzare idee e credo di un personaggio di spicco della famiglia e, nel caso di imprese, per valorizzarne competenze e qualità e limitarne gli aspetti negativi) e le c.d. fondazioni di comunità (istituite da una pluralità di soggetti per raccogliere fondi al fine di valorizzare taluni territori o beni pubblici di rilevanza locale). 

Accanto a tali tipologie, che hanno avuto come fonte sostanziale la prassi e l’esperienza concreta (e che taluno, ad avviso dello scrivente erroneamente, riconduce comunque nell’alveo delle previsioni del codice civile) vi sono poi altre specifiche tipologie di fondazioni disciplinate da normative speciali.

In particolare: le Fondazioni di origine bancaria (c.d. fondazioni bancarie), regolate dalle Leggi 218/1990 e 461/1998 e dal Decreto Legislativo 153/1999, e le Fondazioni lirico-sinfoniche istituite e regolate dal Decreto Legislativo 367/1996 (che ha trasformato in fondazioni di diritto privato gli enti lirici e concertistici di cui alla Legge 800/1967).

Anche tali tipologie di fondazioni necessitano di uno specifico autonomo approfondimento. Dottrina e giurisprudenza, infatti, hanno affrontato, a più riprese, le problematiche relative ai suddetti enti, spesso con interpretazioni assolutamente contrastanti.       

In ogni caso, la fondazione, una volta costituita, per acquisire la personalità giuridica deve chiedere il riconoscimento alla competente autorità (come del resto gli altri soggetti di cui agli articolo14 e ss codice civile). L’iter procedimentale è regolato dal D.P.R. 361/2000.

Per il riconoscimento di quelle che operano a livello nazionale la competenza spetta alle prefetture, nella cui provincia è stabilita la sede dell’ente. Presso le Prefetture U.T.G. è, infatti, istituito il Registro delle Persone Giuridiche. Al contrario, la registrazione delle fondazioni o degli enti che operano soltanto in ambito locale spetta alle regioni ovvero alle province autonome, attraverso propri registri.

Le fondazioni, le associazioni e le altre istituzioni di carattere privato operanti in ambito nazionale (o le cui finalità statutarie interessino più regioni) e/o in settori di competenza statale, acquistano, dunque, la personalità giuridica attraverso il riconoscimento, determinato dall’iscrizione nel registro prefettizio. Quelle che operano in ambito locale attraverso l’iscrizione nel registro regionale o delle province autonome.

Il sistema è, dunque, di tipo concessorio. Il riconoscimento della personalità si consegue, cioè, attraverso la presentazione di una domanda ed il conseguente provvedimento della competente autorità, che ha efficacia costitutiva. In particolare, per quanto riguarda le fondazioni (al contrario delle associazioni dove esistono, a pieno titolo, associazioni non riconosciute), il carattere essenziale delle stesse è, secondo molti, rappresentato proprio dalla necessità di acquisire la personalità giuridica.

In effetti, prima del riconoscimento, l’atto di fondazione può essere revocato dal fondatore (articolo 15 codice civile) ed i beni destinati all’ente rimangono, comunque, nel patrimonio di quest’ultimo.

La suprema Corte di cassazione ha precisato come l’autonomia piena e la separazione del patrimonio di provenienza sorgono e divengono operanti allorquando intervenga il riconoscimento della personalità giuridica, che produce il passaggio della proprietà dal precedente titolare ad un nuovo soggetto. Il patrimonio destinato ad una fondazione non ancora riconosciuta non è esso stesso soggetto di diritti e, quindi, non può acquisirne né rimanere obbligato. Ne consegue che le persone preposte all’amministrazione dei beni destinati all’erigenda fondazione o alla direzione della medesima non possono, pertanto, essere chiamate a rispondere come rappresentanti di un soggetto inesistente, ma sono tenute in proprio per le obbligazioni contrattuali ed extra contrattuali dipendenti dall’attività svolta (Cassazione Civile 2096/1967).

Ciò chiarito, occorre altresì evidenziare come l’atto di fondazione non possa, comunque, più essere revocato dal fondatore quando lo stesso abbia fatto iniziare l’attività dell’opera da lui disposta (articolo15 codice civile). In particolare, alcune sentenze di merito, hanno precisato che l’inizio e la prosecuzione, anche con mezzi economici, dell’attività di una fondazione non riconosciuta, deve ritenersi incompatibile con il mantenimento della condizione sospensiva del riconoscimento apposta al negozio costitutivo della fondazione, con conseguente impossibilità della revoca di quest’ultimo da parte del fondatore (Trib. Roma 15.09.1987 in Giust. Civ. 88, I, 1330).

Sul punto, in realtà, si dovrebbe aprire una più ampia riflessione circa il superamento del dogma della “personalità giuridica”, in favore della figura della “soggettività giuridica”, intesa come “centro unitario di imputazione di effetti giuridici”. Tale questione, di notevole interesse, è stata oggetto di vari approfondimenti dello scrivente autore, anche all’interno di questa stessa rubrica (in particolare in materia di associazioni non riconosciute). Si rimanda, pertanto, a tali contributi. 

In ogni caso, a prescindere da qualsivoglia questione interpretativa, è indubbio come l’ottenimento della personalità giuridica comporti tutta una serie di conseguenze necessarie per lo svolgimento delle attività delle fondazioni e come il riconoscimento costituisca per queste ultime un elemento imprescindibile. In particolare, a fronte dello stesso, l’ente acquisisce una propria autonomia giuridica e diventa un soggetto distinto dal suo fondatore e dai suoi amministratori.

Tale riconoscimento deriva, come detto, da un provvedimento della competente autorità, che provvede all’esame della domanda e, quindi, al suo accoglimento, ovvero al suo rigetto. Ciò a tutela tanto della collettività, quanto di eventuali futuri creditori.

La valutazione circa l’accoglimento o meno della domanda è discrezionale e riguarda tutta una serie di elementi: l’esistenza dei presupposti ex lege richiesti per la costituzione della fondazione; la legittimità ed utilità pubblica del fine perseguito; la congruità del patrimonio rispetto allo scopo; la legittimità delle clausole e prescrizioni previste nell’atto di fondazione.

Il D.P.R. 361/2000 precisa: “ai fini del riconoscimento è necessario che siano soddisfatte le condizioni previste da norme di legge o di regolamento per la costituzione dell’ente, che lo scopo sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo”. Inoltre: “la consistenza del patrimonio deve essere dimostrata da idonea documentazione allegata alla domanda”.

La personalità giuridica, in buona sostanza, viene concessa ove lo scopo della fondazione venga ritenuto legittimo e meritevole di tutela ed ove le prescrizioni e disposizioni atte a perseguirlo siano idonee allo scopo e, comunque, non violino disposizioni di legge.

Fermo ciò, non v’è chi non veda come la controversia circa la validità o l’efficacia dell’atto costitutivo di una fondazione rientri, anche dopo che sia intervenuto il provvedimento di riconoscimento della personalità giuridica, nella giurisdizione del giudice ordinario, atteso che il negozio di fondazione integra un atto di autonomia privata, che non partecipa della natura del provvedimento amministrativo di riconoscimento, ma è regolato in relazione alla sua validità ed efficacia dalle norma privatistiche e genera rapporti di diritto privato e posizioni di diritto soggettivo (Cassazione Sezioni Unite 3892/2004).

Per quanto riguarda, invece, le controversie relative al provvedimento amministrativo di riconoscimento delle fondazioni, queste rientrano senz’altro nella giurisdizione del giudice amministrativo (Cassazione Sezioni Unite 721/1972).

In realtà, la questione relativa alla giurisdizione in materia di fondazioni è particolarmente complessa e controversa, attesa la circostanza che spesso entrano in gioco anche interessi “pubblici” o, comunque, partecipazioni di enti pubblici o società pubbliche all’interno delle fondazioni stesse. In tal senso l’indirizzo di dottrina e giurisprudenza è fortemente legato alle singole fattispecie concrete. Per un esame approfondito, si richiama la pronunzia delle Sezioni Unite della Cassazione numero n.20075/2013 alla quale si rimanda.           

Da un punto di vista sostanziale, invece, la fondazione presuppone tanto un atto costitutivo dell’ente, quanto un atto attraverso il quale il fondatore gli attribuisce un patrimonio.

Una parte della dottrina e della giurisprudenza considera l’atto costitutivo della fondazione, e quello attraverso il quale ad essa si attribuisce un patrimonio, come due atti distinti e separati (negozio di fondazione ed atto di dotazione), seppure intimamente collegati tra loro. Il primo da intendersi come negozio principale, il secondo come accessorio.

Secondo questa interpretazione, il negozio di fondazione di una persona giuridica è di “diritto personale” e va, pertanto, distinto da quello di dotazione che, invece, è di “diritto patrimoniale”. Tuttavia quando lo stesso soggetto, in un atto unico, esprime la volontà di dare vita ad un nuovo ente non ancora esistente di fatto e, contemporaneamente, dispone l’assegnazione di un patrimonio a favore dell’ente stesso da istituire, il negozio di attribuzione dei beni può essere, per volontà del soggetto, così strettamente collegato, con funzione strumentale, al negozio di fondazione, da risultare inscindibile da questo. In tale caso i due negozi vengono a costituire una unità funzionale per il nesso teleologico con cui sono stati concepiti, attuati e collegati, cosicché lo svolgimento e le vicende di un negozio si ripercuotono necessariamente su quello collegato (Cassazione Civile 2130/1959).

Da questa impostazione (negozio principale e negozio collegato, ciascuno con una propria autonomia causale) consegue la necessità di considerare il trasferimento patrimoniale, attuato con l’atto di dotazione, come donazione, qualora l’atto di fondazione venga costituito per atto tra vivi, ovvero come istituzione di erede o legato, qualora l’atto di fondazione sia contenuto in un testamento.

Al contrario, la dottrina e la giurisprudenza più recente hanno optato per una interpretazione radicalmente diversa, abbandonando la distinzione tra atto costitutivo del nuovo soggetto e atto di dotazione patrimoniale, per considerarli un tutt’uno inscindibile.

Secondo questa interpretazione, l’atto di dotazione non ha alcuna autonomia causale ma rappresenta, in buona sostanza, un elemento integrante del negozio stesso di fondazione.

In particolare, la Suprema Corte, con una pronunzia illuminante (Cassazione Civile 16409/2017), ha fatto chiarezza sul punto, segnando un fondamentale arresto giurisprudenziale. La Corte, infatti, ha precisato come l’atto di costituzione della fondazione, ed il conseguente atto di dotazione, debbano considerarsi come un unico negozio unitario, con una propria causa. L’atto di fondazione è, al tempo stesso, sia un atto di disposizione patrimoniale attraverso cui il fondatore si spoglia della proprietà di beni, che assoggetta ad un vincolo di destinazione allo scopo, sia un atto di organizzazione della struttura preordinata alla realizzazione dello scopo stesso. L’atto costitutivo della fondazione avrebbe, quindi, sempre la struttura di un negozio unilaterale.

Da ciò discende una conseguenza fondamentale. Seppure, infatti, il negozio di fondazione è caratterizzato da una similitudine causale con l’istituto della donazione (consistendo il primo, così come il secondo, nell’attribuzione patrimoniale ad un soggetto senza ricezione di alcun corrispettivo) esso se ne differenzia sostanzialmente. L’atto di dotazione, infatti, trova la sua causa nello stesso negozio di fondazione. La volontà di destinare il patrimonio allo scopo dell’ente è un tutt’uno, e non può scindersi dalla volontà stessa di creare la fondazione.

La sentenza richiamata precisa che l’atto di attribuzione di beni ad una costituenda fondazione deve considerarsi come lo strumento necessario per l’attuazione stessa del fine ed è, perciò, privo di autonomia e connesso in maniera inscindibile con il negozio di fondazione. All’atto pubblico costitutivo di una fondazione deve, quindi, attribuirsi, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 14 codice civile, la struttura di negozio unilaterale. Esso ha una propria autonoma causa, che consiste nella destinazione di beni per lo svolgimento, in forma organizzata dello scopo statutario. Da ciò consegue, in particolare, che esso non dia vita ad un atto di donazione e non rientri, quindi, tra quelli per cui è necessaria la presenza di due testimoni, da considerarsi come mera formalità nella disponibilità delle parti.

Questa interpretazione appare, ad avviso dello scrivente, pienamente condivisibile. Non si può costituire una fondazione senza l’attribuzione di un patrimonio: l’atto di dotazione esiste in quanto esiste la volontà di costituire la fondazione.

Per quanto attiene, invece, agli organi delle fondazioni, la disciplina codicistica (articolo 18 e ss codice civile) è senz’altro scarna. L’unica indicazione fornita dal legislatore è quella per cui alla gestione del patrimonio ed all’attuazione dello scopo provvedono gli amministratori: essi sono chiamati a rispettare la volontà del fondatore ed a perseguire il fine per cui la fondazione è stata costituita. Non possono modificare lo scopo, né mutare la destinazione del patrimonio, né deliberare l’estinzione dell’ente, ma possono soltanto apportare modifiche che, tuttavia, non riguardino aspetti essenziali dell’atto costitutivo e siano comunque utili al conseguimento dello scopo dell’ente.

La loro figura, come chiarito, è l’unica richiamata esplicitamente dal codice civile: l’organo di amministrazione deve, pertanto, considerarsi come l’unico organo necessario per la fondazione. Gli amministratori, dunque, non sono soggetti alle indicazioni di un organo deliberativo, né sottoposti al controllo di un organo interno di verifica, seppure spesso negli atti costitutivi e negli statuti delle fondazioni (vista anche le pluralità di tipologie ormai diffuse ed in funzione delle specifiche esigenze dell’ente) sono previsti anche altri organi, compresi quello assembleare e quello di controllo contabile.

Il fondatore può nominare gli amministratori nell’atto costitutivo della fondazione, ovvero può indicare le modalità di loro nomina. La carica di amministratore può essere ricoperta da una sola persona, ovvero da più persone riunite in un Consiglio di amministrazione. In genere le fondazioni sono gestite, appunto, da un Consiglio di amministrazione, il cui Presidente ha anche la rappresentanza dell’ente. Nelle fondazioni di maggiore rilievo è spesso prevista anche la figura di un direttore generale o di un segretario generale, a cui viene demandata la direzione e la gestione dell’ente.

Può essere amministratore di una fondazione anche una persona giuridica, un ente pubblico, oppure un’associazione. Resta controverso, invece, se il fondatore possa nominare sé stesso quale amministratore all’atto della costituzione della fondazione. Certamente non può riservarsi il potere di nomina per quelle successive.

La nomina degli amministratori può avere una durata determinata, oppure essere a vita, e deve, comunque, essere accettata. La cessazione della carica può avvenire per decesso dell’amministratore (se unico e persona fisica), per scadenza del mandato, per dimissioni, revoca ovvero scioglimento della fondazione. Qualora il fondatore non provveda alla nomina degli amministratori, questa spetterà alla competente autorità amministrativa.

Gli amministratori sono responsabili nei confronti della fondazione in base alle regole del mandato. La responsabilità deve, tuttavia, escludersi per quelli che non hanno partecipato all’atto che ha generato il danno per l’ente, fatta eccezione per la circostanza in cui fossero a conoscenza dell’attività che stava per essere svolta, o dell’atto che stava per essere compiuto, e non abbiano espresso il proprio dissenso.

Come già accennato, alle previsioni generali di cui sopra se ne possono aggiungere altre specifiche, contenute negli atti costitutivi e negli statuti, in particolare in caso di costituzione di tipologie speciali di fondazioni, soprattutto quelle caratterizzate dalla presenza di una pluralità di conferenti, oppure in caso di fondazioni che intendano ottenere la qualifica di enti del terzo settore (come si vedrà appresso).

Comunque, a prescinde dalla tipologia specifica, è sempre previsto il controllo e la vigilanza sull’amministrazione della fondazione da parte dell’autorità governativa (anzitutto ai sensi dell’articolo 25 codice civile), che può nominare e sostituire gli amministratori; può annullare le delibere se contrarie a norme imperative, all’atto di fondazione, all’ordine pubblico o al buon costume; può sciogliere l’amministrazione e nominare un commissario straordinario quando gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto, o dello scopo della fondazione, o della legge.

L’autorità può anche coordinare l’attività di fondazioni diverse, ovvero unificarne le varie amministrazioni, sempre ovviamente rispettando, per quanto possibile, la volontà del fondatore (articolo 26 codice civile)

La previsione di tali poteri di controllo e vigilanza (e non solo) in favore dell’autorità governativa deve considerarsi come un elemento caratterizzante della disciplina delle fondazioni, la cui attività e le cui vicende sono permeate, a partire dal riconoscimento e fino alla stessa estinzione, dall’intervento pubblico.    

La fondazione si estingue, sostanzialmente, in due casi: per le cause previste nell’atto costitutivo o nello statuto, oppure quando lo scopo è stato raggiunto o è diventato impossibile.

In questo secondo caso, quando cioè lo scopo è esaurito, è divenuto impossibile o di scarsa utilità, oppure quando il patrimonio è divenuto insufficiente al suo perseguimento, l’autorità governativa può sia dichiarare estinta la fondazione, sia provvedere, ai sensi dell’articolo 28 codice civile, alla sua trasformazione, sempre allontanandosi il meno possibile dall’originaria volontà del fondatore. Tuttavia la trasformazione non è dal legislatore ammessa nel caso in cui i fatti che vi darebbero luogo siano considerati nell’atto di fondazione come causa di estinzione della persona giuridica e di devoluzione dei beni a terze persone.  

Da ultimo, per avere un quadro completo dell’istituto, occorre fare un accenno anche alle ripercussioni che sulle fondazioni ha avuto l’entrata in vigore della normativa sul terzo settore (D.Lgs.117/2017). Quest’ultima, infatti, va ad incidere sotto molteplici profili, sulla loro disciplina, tanto a livello formale che sostanziale.

In particolare, qualora una fondazione voglia iscriversi al Registro unico nazionale del terzo settore (RUNTS), e quindi acquisire il riconoscimento di ente del terzo settore (ETS di cui all’articolo 20 del CTS), può farlo. Dovrà, tuttavia, adeguarsi alle prescrizioni previste dal Codice del terzo settore.

Occorre premettere come non tutte le fondazioni possano richiedere la registrazione nel RUNTS. In particolare il Codice del terzo settore esclude, espressamente, tale possibilità per le fondazioni di origine bancaria.

Ciò chiarito, il CTS, agli articoli 20-31 (Titolo IV), specifica i requisiti, ulteriori rispetto a quelli previsti dal Codice Civile, che le fondazioni devono possedere per potersi iscrivere al registro ed acquisire la qualifica di ente del terzo settore.

Preliminarmente, l’articolo 4 del CTS qualifica quali enti del terzo settore: “le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute e non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società, costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore”.

Tali enti sono vincolati all’esercizio di attività di interesse generale così come previste al successivo articolo 5 del CTS.  

Con particolare riferimento alle fondazioni, l’articolo 20 precisa che le disposizioni del titolo IV si applicano a tutti gli enti del terzo settore costituiti in forma di associazione (riconosciuta e non) e appunto di fondazione, mentre le successive disposizioni indicano i requisiti che tali enti devono possedere per potere ottenere l’iscrizione al RUNTS, tanto con riferimento all’atto costitutivo ed allo statuto, quanto con riferimento all’organizzazione ed alle caratteristiche degli enti stessi.

In buona sostanza, una fondazione per potersi iscrivere al registro dovrà dotarsi sia di un organo di controllo interno, sia di un revisore contabile, mentre agli organi di amministrazione dovranno applicarsi le cause di ineleggibilità e decadenza di cui all’articolo 2382 codice civile.

L’assunzione della qualifica di ente del terzo settore comporta per la fondazione che la ottiene sia la possibilità di usufruire di una disciplina fiscale agevolata, sia una maggiore facilità di acquisizione della personalità giuridica, che può essere acquisita automaticamente a seguito dell’iscrizione nel RUNTS.

Da questo breve excursus è facile comprendere come l’istituto della fondazione sia in continua evoluzione. L’originaria disciplina si è mostrata insufficiente a rappresentare tutte le esigenze che, di volta in volta, l’esperienza concreta ha sottoposto all’attenzione dell’attore e dell’interprete. Nuove figure sono state create, ciascuna delle quali con proprie peculiarità e caratteristiche. Vale la pena dedicare ad esse specifici ed autonomi approfondimenti.      

Cassazione Civile n.2096/1967

Tribunale di Roma 15.09.1987 in Giust. Civ. 88, I, 1330

Cassazione Sezioni Unite n.3892/2004

Cassazione Sezioni Unite n.721/1972

Cassazione Sezioni Unite 20075/2013

Cassazione Civile n.2130/1959

Cassazione Civile n.16409/2017

Codice civile artt. 14 – 42 bis.

D.P.R. 361/2000

Legge n.89 del 16.12.1913

D.Lgs. n.117/2017 

Le associazioni non riconosciute e l’esercizio di attività economica. Gianluca Limardi 19 maggio 2019 Editore Filodiritto – Rubrica Convergenze Parallele.

Le Fondazioni del terzo millennio. Enrico Bellezza e Francesco Florian. Editore Feltrinelli. Maggio