La crisi della giustizia civile: tra problemi reali e mancanza di risposte effettive

Considerazioni pratiche alla luce delle previste modifiche al codice di procedura civile.


Avv. Gianluca Limardi

 

La situazione di profonda crisi in cui versa la giustizia italiana si manifesta in tutta la sua drammaticità, ormai da anni e nella sostanziale indifferenza del mondo politico e mediatico, anzitutto nell’ambito dell’esercizio dell’azione civile a tutela dei molteplici diritti ed interessi che sono alla base del vivere quotidiano e dei rapporti soggettivi e commerciali.

Ogni persona, fisica o giuridica, è obbligata a misurarsi (in taluni casi in maniera continua, in altri solo estemporanea) con contratti, obbligazioni, diritti reali, rapporti di famiglia o successori e con tutti quei fatti che rappresentano ed esternano i normali rapporti privatistici che intercorrono tra soggetti diversi.

A tutela ed a garanzia di tali rapporti sta, o meglio dovrebbe stare, la giustizia civile, da intendersi appunto come “insieme di istituti ed organizzazione” volti a tale scopo.

Purtroppo il ruolo centrale ed imprescindibile dell’esercizio della giustizia civile sembra sfuggire ai più (anzitutto agli organi istituzionali deputati a gestirla ed alla stessa opinione pubblica) che preferiscono concentrare azioni ed attenzione verso la giustizia penale, certamente di maggiore impatto sociale e mediatico, piuttosto che verso la soluzione di tutte le questioni attinenti al “diritto privato” ed alle controversie da esse derivanti. Il singolo delitto efferato, magari attribuito ad una madre oppure ad un cittadino straniero, o le vicende penali del politico di turno, fanno molto più notizia ed impegnano molte più risorse (umane ed economiche) rispetto al problema del sostanziale blocco delle esecuzioni mobiliari o dell’impossibilità di vedere riconosciuti, in tempi ragionevoli, i propri diritti in materia di proprietà ed obbligazioni.

Le reiterate sanzioni comminate ed i numerosissimi risarcimenti riconosciuti, su impulso degli organismi comunitari, per i danni causati dalla lentezza della giustizia civile, testimoniano come in Italia vi sia una effettiva denegata risposta alle istanze delle parti in quest’ambito, con devastanti conseguenze in tutti i campi della vita sociale ed economica. Basti pensare alle classifiche stilate da vari organismi internazionali nel campo del recupero crediti o dei tempi di risoluzione di una controversia in materia societaria (penso a quelle commissionate dalle compagnie aeree o dalle agenzie per il commercio e lo sviluppo di investimenti) che vedono il nostro paese costantemente relegato agli ultimi posti, superato anche da paesi in via di sviluppo del terzo e quarto mondo.

Il legislatore, nell’intento di superare il problema, è ripetutamente intervenuto sul codice di procedura civile, senza tuttavia pervenire a risultati apprezzabili, quantomeno con riferimento alla diminuzione dei tempi ed alla concentrazione dei riti. A partire dalla novella del 1995, per proseguire con le modifiche del 2005, sino all’ultimo corposo intervento operato dall’attuale governo pubblicato sulla gazzetta ufficiale il 19 giugno u.s., ha introdotto un insieme di modifiche volte a ridurre i balzelli procedurali contraendo, ovvero accorpando, adempimenti e termini con l’intento di ridurre i tempi per addivenire alla decisione.

E’ chiaro e va da sé che ogni semplificazione e snellimento procedurale (purché non ostativo alla compiuta tutela dei diritti ed al principio del rispetto del contraddittorio) non può che essere accolto con favore sia dagli avvocati che dai magistrati, che giornalmente si confrontano con procedimenti spesso totalmente diversi e, comunque, complessi ed articolati.

In tal senso ritengo particolarmente apprezzabile nell’ambito dell’ultimo provvedimento legislativo, licenziato in via definitiva dal Senato della Repubblica il 26 maggio u.s. e che entrerà in vigore il prossimo 4 luglio, la delega al governo per adottare:”…entro 24 mesi dalla entrata in vigore della legge stessa, uno o più decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione”. In effetti la necessità di una unificazione, o quantomeno di una concentrazione, dei numerosi riti attualmente previsti, era sentita e richiesta, ormai con insistenza, da tutti gli operatori del diritto e non poteva essere ulteriormente rimandata. Non resta che confidare in una rapida ed incisiva azione del governo in adempimento della delega ricevuta. Per quanto riguarda, invece, il merito delle singole modifiche già introdotte, non ritengo opportuno, almeno in questa sede, commentarle in maniera sistematica volendo soffermare la mia attenzione su un diverso ordine di problematiche.

Ciò premesso, veniamo appunto a quello che ritengo l’effettivo ed irrisolto nodo della giustizia civile, ossia quello della “organizzazione”, per ciò intendendosi “strutture ed addetti idonei a rispondere a tutte le svariate domande legate ai rapporti privatistici”.

Il problema organizzativo, in realtà, è sentito in maniera stringente nell’intero contesto giudiziario e, quindi, anche presso i tribunali penali e le procure della Repubblica, ma è in ambito civile che, visti i numeri con i quali gli uffici sono costretti a confrontarsi, la situazione è ormai giunta al collasso. Mancano, è impossibile negarlo, personale, strutture e strumenti.

Senza inutili perifrasi e senza ipocrisia: è questa l’effettiva emergenza giustizia ed è questo il reale problema al quale nessuno, almeno sino ad oggi, ha fornito risposte e soluzioni adeguate. Neppure la più illuminata ed esaustiva riforma legislativa potrà mai portare a risultati soddisfacenti se non accompagnata da un serio e rivoluzionario intervento in materia di organizzazione e finanziamento della giustizia civile.

Nell’ultimo periodo ho preso atto, con soddisfazione e sincero apprezzamento, di quanto si è riusciti a fare in alcuni uffici giudiziari virtuosi (mi riferisco, ad esempio, ai risultati ottenuti dal Tribunale di Torino, da quello di Cremona o dalla Procura della repubblica di Bolzano per il penale) il cui merito è ascrivibile, tuttavia, esclusivamente alle particolari capacità dei magistrati dirigenti ed alla superba attività del personale addetto, spesso in diretta collaborazione con gli studi legali del luogo, che hanno fornito personale adesivo e supporto strumentale. Ciò detto, è mia opinione che esperienze quali quelle sopra citate sarebbero, comunque, di difficile (se non impossibile) attuazione in città come Roma o Milano, anzitutto a fronte del carico di lavoro di tali sedi. In realtà, anche presso questi tribunali si stanno scovando possibili soluzioni, nel tentativo di sfruttare al meglio le risorse a disposizione, ma i risultati restano minimi e, comunque, limitati a poche strutture o competenze.

Nell’ambito, ad esempio, del Tribunale di Roma, attraverso l’impulso e la fattiva collaborazione dell’Ordine degli Avvocati, partirà una sperimentazione volta a garantire la possibilità di inviare, e quindi gestire, i ricorsi per decreti ingiuntivi on line. Questa iniziativa appare senza dubbio lodevole, anche nell’ottica di un sempre maggiore uso dei moderni strumenti tecnologici, ma dovrà necessariamente scontrarsi con la carenza di personale e, soprattutto, con l’assoluta vetustà ed insufficienza degli strumenti tecnici a disposizione degli uffici giudiziari deputati. Già oggi, infatti, i sistemi informatici di gestione subiscono frequenti blocchi e creano problemi, con conseguente paralisi (a volte anche di ore) dell’attività di inserimento e di ricerca dei dati. Si possono quindi facilmente immaginare i disagi che verrebbero a crearsi, ed a sommarsi a quelli già esistenti, con l’introduzione del c.d. nuovo processo telematico.

I trionfalistici proclami circa l’entrata a regime di tale sistema (addirittura nell’arco di qualche mese) non tengono conto, a modesto avviso dello scrivente, delle limitatissime risorse, anzitutto economiche, messe a disposizione per il servizio giustizia.

In ogni caso, non possiamo continuare a subordinare il funzionamento di un ufficio all’iniziativa ed inventiva del singolo individuo, in ossequio alla nostra innata capacità di arrangiarci e dare il meglio nelle situazioni peggiori. L’impegno dei singoli, seppure lodevole e meritorio, non soltanto è insufficiente a risolvere in radice il problema, ma è forse addirittura controproducente, poiché rischia di creare aspettative che, obiettivamente, non potranno mai essere realizzate a livello di sistema nazionale.

E’ quindi necessario, se si vuole realmente iniziare a porre rimedio ai problemi che affliggono anzitutto la giustizia civile, munire gli uffici giudiziari di strumenti idonei a gestire l’enorme mole di dati e tutti gli adempimenti che, anzitutto, un processo informatizzato comporta. In caso contrario si rischia, come già accaduto per il nuovo processo societario (di fatto fallito ed oggi abrogato), una paralisi ancora maggiore, con necessità di doppi o tripli adempimenti. Il primo punto cardine da risolvere è, quindi, quello relativo alla necessità di fornire strutture idonee, per tali intendendosi locali adatti allo svolgimento delle attività di udienza e di cancelleria e strumenti informatici adeguati, atti effettivamente a rispondere alle esigenze di un contenzioso rapido e moderno.

Un altro elemento fondante dell’attuale crisi e del quale poco si parla (se non a sproposito e senza cognizione di causa) è quello della gravissima carenza di organico in cui versano gli uffici giudiziari di tutti i tribunali d’Italia, rispetto alla effettiva domanda di giustizia dei cittadini. A Roma, in particolare, la situazione delle cancellerie civili è veramente al collasso, con punte catastrofiche in uffici quali quello delle esecuzioni mobiliari o del Giudice di Pace.

Pur volendo tenere conto di una percentuale di personale effettivamente parcheggiato in oasi “privilegiate” (tipo presidenze ed uffici legislativi ministeriali) e di un’altra percentuale che svolge il proprio lavoro in maniera insufficiente e poco corretta (che certamente esiste ed il cui comportamento deve essere censurato e combattuto), non può tacersi il problema reale e cioè l’effettiva insufficienza del numero degli addetti operanti. L’ultimo bando per concorso da cancelliere risale al lontano 1997, quasi tredici anni fa, con la conseguenza che da dieci anni non v’è ricambio di personale nei tribunali. Ciò a fronte di una domanda che continua a crescere e del fallimento dei timidi strumenti deflattivi vagamente configurati in ambito civilistico (dalla figura del mediatore, a quella dello stesso Giudice di Pace, che originariamente nasceva sulla falsariga del conciliatore anglosassone). Peraltro, nuove assunzioni garantirebbero personale giovane e spesso laureato (anche per qualifiche che non richiedono il diploma di laurea), quindi certamente preparato, avvezzo all’uso delle moderne tecnologie informatiche e, comunque, motivato.

Una parziale soluzione potrebbe anche essere quella di trasferire in via definitiva presso gli uffici giudiziari, previo svolgimento di effettivi corsi preparatori e di inserimento, personale proveniente da altre amministrazioni. Ciò avrebbe l’indubbio vantaggio di ridurre i costi e di sottrarre personale ad uffici o enti inutili ma creerebbe, come facilmente intuibile, una serie rilevante di contenziosi ed opposizioni.

A tale carenza numerica nell’organico, si aggiunga poi l’annosa questione della mancata riqualificazione del personale di cancelleria che si trascina ormai da decenni, con conseguente insoddisfazione e scoramento proprio degli addetti “in trincea”, che si vedono pregiudicati e vessati non soltanto nei confronti del personale di altri ministeri, ma addirittura nei confronti di diversi dipendenti dello stesso Ministero della Giustizia (penso al personale del D.A.P.).

Appare, pertanto, assolutamente necessario un intervento volto all’aumento effettivo e radicale del personale, necessariamente giovane e qualificato, senza il quale ogni riforma è destinata a fallire, viste anche le sfide e le opportunità che la tecnologia moderna offre. Peraltro, nel lungo periodo, una accorta e mirata politica di assunzioni a tempo indeterminato mediante concorso, garantirebbe senza dubbio, oltre alla qualità e professionalità dei nuovi assunti, anche notevole risparmio economico, ponendo fine ai molteplici sprechi che la situazione di emergenza continua necessariamente impone e limitando al minimo il ricorso all’appalto esterno.

Purtroppo, forse anche a causa dell’atavica e sempre sbandierata mancanza di fondi (che tuttavia vengono sempre reperiti per essere impegnati nelle maniere più banali e bizzarre), i due punti cardine sopra evidenziati, non hanno mai formato oggetto di una attenta analisi politica, poiché “costano” e non garantiscono visibilità a chi li adotta. In una intervista, prontamente rilasciata ad un quotidiano romano all’esito di una denunzia di un famoso programma televisivo circa l’assurda situazione in cui versa l’Ufficio del Giudice di Pace civile della città, il sottosegretario di turno assicurava di essere già intervenuto (peraltro ammettendo di non essersi mai recato in quell’ufficio, ma di avere comunque ricevuto lumi sulla situazione dal presidente del tribunale) attraverso il trasferimento urgente di 3 o 4 addetti.

Ebbene, il sottoscritto ha iniziato la propria carriera nel libero foro proprio in concomitanza con l’entrata in vigore della novella del 1995 che istituiva il Giudice di Pace. Il nuovo ufficio funzionava discretamente ed a Roma il carico annuale di iscrizioni a ruolo permetteva di vedere definita una controversia, con esperita istruttoria, in circa due anni (anche meno, in caso di giudici particolarmente celeri e preparati). Attualmente, con l’intervenuta attribuzione della competenza per le decisioni in materia di opposizioni a sanzioni amministrative il numero delle cause iscritte a ruolo innanzi al Giudice di Pace civile di Roma è praticamente sestuplicato.

A tale esponenziale aumento delle controversie, non soltanto non è corrisposto un aumento del personale di cancelleria, ma addirittura se ne è registrata una drastica riduzione, che è andata ad aggiungersi al contemporaneo trasferimento di giudici e personale a seguito della istituzione dell’Ufficio penale del Giudice di Pace (al quale, nel frattempo, era stata attribuita la competenza decisionale per i c.d. reati bagattellari, al fine di sottrarla agli oberati tribunali penali).

Tutto ciò ha portato ad un vero tracollo dell’ufficio civile, con la conseguenza che le sentenze già pronunziate vengono ormai pubblicate dopo oltre un anno, le udienze vengono fissate dopo mesi, le iscrizioni a ruolo e le richieste di copie sono divenute ormai adempimenti impossibili e sono comunque subordinate alla nottata in bianco passata davanti al portone dell’ufficio (per non perdere il posto nell’elenco che si forma a partire dalla mezzanotte del giorno prima), l’arretrato non soltanto non viene smaltito, ma continua ad aumentare. In tale disastro tutti comprendono come il trasferimento di 3 o 4 addetti non possa minimamente incidere, neppure come palliativo.

Questa situazione, già insostenibile (che spesso mi fa sconsigliare ai clienti di intraprendere azioni innanzi a tale ufficio), verrà ulteriormente aggravata dalle previsioni, contenute nell’ultimo provvedimento di modifica del codice di procedura civile, dell’aumento della competenza per valore del Giudice di Pace civile sino ad € 5.000,00 per le cause ordinarie e sino ad € 20.000,00 per le cause conseguenti a sinistri stradali e dell’inserimento nella competenza funzionale delle cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali. Pertanto, quella che a livello legislativo avrebbe dovuto essere una misura di snellimento e velocizzazione del contenzioso civile si trasformerà, all’atto pratico, soprattutto negli uffici giudiziari delle grandi città, in una ulteriore misura non soltanto inutile, ma addirittura controproducente.

Quello appena citato è l’esempio evidente di come, senza un effettivo intervento a livello strutturale ed organizzativo (per tale intendendosi addetti e strumenti), qualsivoglia provvedimento legislativo è destinato non soltanto a fallire, ma addirittura a rivelarsi controproducente.

Infine, non v’è chi non veda la necessità di un consistente aumento del numero dei magistrati effettivamente impegnato nell’attività giurisdizionale civile, quantomeno nella misura del 20% rispetto a quelli attualmente operanti. Basta controllare il carico di ruolo di un qualunque magistrato che a Roma si occupa di diritto di famiglia o di contenzioso condominiale o di risarcimento danni, o comunque, di qualsivoglia giudice di qualsivoglia sezione civile del tribunale, per rendersi conto di come la situazione sia, realmente, difficilmente gestibile. Il tutto con conseguente ed inevitabile allungamento dei tempi del processo e minore qualità delle decisioni.

Il lavoro del giudice, infatti, è oggi subordinato alle statistiche ed al numero di cause trattate e di pronunzie emesse, con tempi ristrettissimi per lo studio effettivo della controversia. Lo stesso avviene in tutti i tribunali italiani, grandi, medi e piccoli.

E’ ovvio che, anche per i magistrati, vale lo stesso discorso già fatto per il personale amministrativo: alcuni giudici svolgono il loro lavoro in maniera meno produttiva e qualitativa di altri, peraltro facilitati dalla mancanza di qualsivoglia controllo sull’attività svolta. Tuttavia è altrettanto innegabile che l’aumento dell’organico effettivo, a disposizione per affrontare il contenzioso civile, appare una misura non più rinviabile.

Tale aumento passa, da un lato, dalla generale presa di coscienza che il nostro paese ha reale bisogno di un numero maggiore di giudici togati e, dall’altro, dall’accettazione da parte degli stessi giudici che un aumento, anche rilevante, di organico, non è una minaccia al prestigio della magistratura. Ciò, peraltro, limiterebbe il ricorso, sempre maggiore, alla magistratura onoraria, il cui ruolo, da ausilio eccezionale, si è trasformato in intervento imprescindibile, senza il quale la giustizia civile sarebbe da tempo in condizioni ancora più drammatiche di quelle in cui già versa.

Per concludere.

Mi rendo conto che tutti gli interventi sollecitati richiedono investimenti economici rilevanti. Sono tuttavia convinto che senza tali investimenti ogni intervento legislativo resterà lettera morta. Peraltro, investire seriamente in risorse umane ed in strutture innovative significa garantire sia il miglioramento del servizio sia un’occupazione di alto livello, con tutti i benefici che l’intera società può trarne. Le mie considerazioni sono frutto dell’esperienza concreta e sono le stesse di tanti professionisti ed operatori del diritto civile, avvocati, magistrati e personale di cancelleria, che quotidianamente si confrontano con una situazione sempre più grave. Negare la necessità di una azione seria a livello strutturale ed organizzativo significa continuare a navigare nell’ipocrisia ed illudere i cittadini. Chiunque nasconda tale verità non ha a cuore il futuro della nostra giustizia, né quindi del nostro paese.