La contaminazione del sito. La nuova configurazione del reato di omessa bonifica.

Pubblicato su Rivista Ambiente n.90 2012/2013

Avv. Gianluca Limardi

La disciplina degli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati, prima affidata al dettato normativo del d.lgs. 22/1997 (c.d. Decreto Ronchi), è oggi prevista dal T.U.A. (d.lgs. 152/2006), la cui entrata in vigore ha comportato non soltanto l’abrogazione della precedente normativa in tema di bonifica dei siti, ma ha anche innovato tale materia sia sul piano sostanziale che procedimentale.
Tralasciando una più approfondita analisi sulla successione normativa in materia di bonifica dei siti contaminati, esaminiamo, invece, se ed in quali circostanze maturi un obbligo di bonifica del sito contaminato in capo al responsabile e in quali ipotesi si configuri il reato di omessa bonifica.
Preliminarmente, tuttavia, appare necessario chiarire brevemente cosa si intenda per “sito contaminato” e quali siano le procedure e le sanzioni previste in caso di negligenza da parte del responsabile. L’art. 240 del T.U.A. definisce sito “l’area o porzione di territorio, geograficamente definita e determinata, intesa nelle diverse matrici ambientali (suolo, sottosuolo ed acquee sotterranee) e comprensiva delle eventuali strutture edilizie e impiantistiche presenti”. Al dettato normativo del medesimo articolo è affidata anche la distinzione tra “sito potenzialmente contaminato” e “sito contaminato
”. Nella prima ipotesi si intende quel sito nel quale uno o più valori di concentrazione delle sostanze inquinanti rilevati nelle matrici ambientali risultino superiori ai valori di “ concentrazioni soglia di contaminazione – CSC” , che corrispondono a loro volta a livelli di contaminazioni che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi del rischio “sito specifica” (così come individuati nell’allegato 5 alla Parte Quarta). Accanto ai livelli di  “concentrazioni soglia di contaminazione” (CSC), la norma individua anche “concentrazioni soglia di rischio” (CSR), che consistono in livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l’applicazione della procedura di analisi di rischio ”sito specifica”, secondo i principi illustrati nell’Allegato 1 alla Parte Quarta del T.U.A..
L’art. 240, comma 1, lett. e) definisce, invece, quale “sito contaminato” quel sito nel quale risultano superati i valori delle “concentrazioni di rischio” (CSR), determinati con l’applicazione della procedura di analisi di rischio di cui all’Allegato 1 della Parte Quarta.
Occorre ora esaminare cosa accade nella ipotesi in cui si verifichi un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare un sito. L’art. 242 del T.U.A. dispone che il responsabile dell’inquinamento si attivi, e cioè che metta in opera, entro 24 ore, le misure necessarie di prevenzione e ne dia immediata comunicazione al Comune, alla Provincia e alla Regione (ai sensi dell’art. 304, comma 2)”.
Appare, quindi, di tutta evidenza che, alla luce della suddetta norma, la prima analisi di una possibile contaminazione è affidata alla iniziativa del responsabile
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In particolare, il secondo comma dell’art. 242 così recita: ”il responsabile dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al Comune ed alla Provincia competenti per territorio entro 48 ore dalla comunicazione”
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Nei quindici giorni successi alla trasmissione dell’autocertificazione, le autorità competenti effettueranno le dovute attività di verifica e di controllo.
Qualora all’esito della suddetta indagine preliminare risulti  l’avvenuto superamento delle CSC, il responsabile dovrà darne immediata comunicazione al Comune ed alle Province competenti per territorio, con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate. Nei successivi trenta giorni lo stesso dovrà presentare, dinnanzi alle predette amministrazioni nonché alla Regione, il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui all’Allegato 2 della Parte Quarta del T.U.A..
A sua volta la Regione, nei seguenti trenta giorni, dovrà provvedere a convocare la conferenza di servizi ed autorizzare il piano di caratterizzazione con eventuali integrazioni. E’ opportuno sottolineare che l’autorizzazione della Regione costituisce “assenso per tutte le opere connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad ogni altra autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte della pubblica amministrazione”.
L’art. 242 continua disponendo (al comma 4) che, sulla base delle risultanze della caratterizzazione, dovrà essere applicata la procedura di analisi di rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) e che entro sei mesi dalla approvazione del piano di caratterizzazione, il soggetto responsabile dovrà comunicare alla Regione i risultati dell’analisi di rischio. E’ compito poi della conferenza di servizi approvare il documento di analisi di rischio a seguito di istruttoria svolta in contraddittorio con il responsabile.
Tuttavia ciò non basta. Infatti i risultati ottenuti dalla analisi di rischio potrebbero dare luogo a due diverse circostanze e quindi a due differenti conseguenti procedimenti.
Una prima ipotesi è quella che si verifica quando, a seguito dell’analisi di rischio, le concentrazioni dei contaminati presenti nel sito siano inferiori alle CSR. In questo caso  la conferenza di servizi, con l’approvazione del documento dell’analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il procedimento, potendo, comunque, prescrivere anche lo svolgimento di un programma di monitoraggio sul sito al fine di stabilizzare la situazione riscontrata in relazione agli esiti dell’analisi di rischio. Se ciò avviene il responsabile dovrà predisporre ed inviare alla Provincia e alla Regione un programma di monitoraggio, che dovrà essere successivamente approvato dalle medesime amministrazioni. Soltanto nel caso in cui tale attività di monitoraggio riveli il superamento di uno o più delle CSR sorgerà in capo al soggetto responsabile l’obbligo di avviare la procedura di bonifica del sito.
La seconda ipotesi è quella, invece, in cui si accerti che la concentrazione dei contaminati presente nel sito è superiore ai valori CSR. In tale circostanza il soggetto responsabile, entro sei mesi dalla approvazione del documento di analisi, dovrà sottoporre alla Regione il “progetto operativo” degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale. Ciò al fine di “minimizzare”, o per lo meno di ricondurre ad accettabilità, il rischio derivante dalla contaminazione.
Dal canto suo la Regione (sentito il parere dei Comuni e delle Provincie interessati ed in contraddittorio con il responsabile), entro sessanta giorni dal ricevimento del progetto, mediante conferenza di servizi, deve approvare il progetto di bonifica, fornendo eventuali prescrizioni ed integrazioni rispetto al progetto stesso.
Individuato così il momento in cui sorge l’obbligo di bonifica in capo al soggetto responsabile della contaminazione, occorre ora precisare cosa succeda nel caso in cui il medesimo non adempia a quanto ex lege previsto e, pertanto, quando si configuri  il reato di omessa bonifica
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La norma alla quale occorre fare riferimento è l’art. 257 del T.U.A. che  dispone  che “chiunque cagioni l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente
”.
In caso, poi, di mancata comunicazione di cui all’art 242, il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro. La norma prevede, inoltre, pene più elevate nel caso di inquinamento da sostanze pericolose. Infine, diversamente da quanto precedentemente disposto dal Decreto Ronchi (il cui art. 51 bis prevedeva la pena congiunta), viene prevista  la condanna del trasgressore, alternativamente, alla pena dell’arresto o dell’ammenda.
In effetti le due fattispecie incriminatrici, se poste a confronto, presentano non poche differenze. Infatti, sulla base del previgente art. 51 bis l’evento del reato consisteva semplicemente nell’inquinamento, inteso come superamento dei limiti di accettabilità previsti dal D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 (recante il “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del decreto Ronchi e successive modifiche e integrazioni”) o nel pericolo concreto e attuale di inquinamento, mentre nell’art. 257 del T.U.A. l’evento del reato è esclusivamente di danno (non di pericolo).
Ciò è stato recentemente  chiarito anche dalla Corte di cassazione, con la sentenza della Terza Sezione Penale 11 maggio 2012 n. 17817, dove è specificato che l’evento reato “consiste solo nell’inquinamento (e non nel pericolo di inquinamento) ed è definito come superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
Inoltre, la nuova norma incriminatrice prevede, rispetto alla previgente, una riduzione dell’area dell’illecito. Infatti, il T.U.A. dispone che soltanto a seguito del superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) discende l’obbligo in capo al responsabile di procedere alla messa in sicurezza e alla bonifica del sito.
Ciò vuol dire, in buona sostanza, identificare la fattispecie di inquinamento come “superamento dei valori delle CSR”, valori che corrispondono a un livello di rischio certamente superiori ai livelli di attenzione individuati dalle CSC e coincidenti con i livelli di accettabilità già definiti dal D.M. n. 471/1999. Sul punto la stessa pronunzia in esame afferma che ”l’inquinamento che perfeziona il reato di cui all’art. 257 del D.lgs. 152/2006 è più grave dell’inquinamento che perfezionava il reato di cui all’art. 51 bis del D.lgs. n. 22/1997”.
Tutto ciò premesso, la citata sentenza perviene alla conclusione che “ai sensi dell’art. 257 del d.lgs. 152/2006 la consumazione del reato in esso previsto non può prescindere dalla adozione del progetto di bonifica ex art. 242 dello stesso decreto legislativo, in quanto la bonifica deve avvenire in conformità a tale progetto
”.
Ciò sembrerebbe avallare l’interpretazione secondo cui la mancata approvazione del progetto di bonifica varrebbe ad escludere la configurabilità del reato, diversamente da quanto precedentemente previsto dall’art. 51 bis del d.lgs. 22/1997 in base al quale, invece, il reato di omessa bonifica era configurabile per la violazione di uno qualsiasi dei numerosi obblighi gravanti sul privato secondo quanto statuito dal correlato art. 17.
Possiamo concludere, almeno secondo l’indirizzo giurisprudenziale fornito dalla sentenza richiamata, che con l’entrata in vigore del T.U.A. (e la conseguente abrogazione del Decreto Ronchi) la consumazione del reato non può prescindere dall’adozione del progetto di bonifica ex art. 242.