Il diritto al nome e sua tutela nelle associazioni non riconosciute

Di Avv. Simone Camicia – Studio Limardi

Articolo Pubblicato sulla rivista Filodiritto il 14 maggio 2020. Tutti i diritti sono di Filodiritto.
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È di patrimonio comune il principio secondo cui il nome rappresenti il primo segno distintivo e di identificazione di un singolo individuo, ma anche di un’organizzazione collettiva.

Più tecnicamente, il diritto al nome è un diritto della personalità e come tale appartiene a tutti i soggetti di diritto, intesi come centri unitari di imputazione di situazioni giuridiche soggettive.

Nel nostro ordinamento giuridico il diritto al nome è espressamente riconosciuto e tutelato con riferimento alle persone fisiche all’interno del codice civile, (articoli da 6 a 9 Libro I, rubricato “Delle persone e della famiglia”), e per le persone giuridiche di natura societaria nel libro V, rubricato “Delle società”, ove si rinviene la tutela della denominazione, nota come ragione sociale, delle società in nome collettivo (articolo 2292 codice civile), delle società in accomandita semplice (articolo 2314 codice civile), delle società per azioni (articolo 2326 codice civile), delle società in accomandita per azioni (articolo 2453 codice civile) e delle società a responsabilità limitata (articolo 2463 codice civile).

Rispetto alle suindicate categorie, infatti, è pacifico il riconoscimento del sacrosanto ed inviolabile diritto all’uso esclusivo del proprio nome.

Di conseguenza, a fronte dell’utilizzo indebito del nome altrui da parte di un terzo, il quale lo usa come fosse il proprio, l’ordinamento giuridico ha apprestato una serie di rimedi volti a garantire all’interessato una duplice tutela, la prima definita inibitoria, diretta ad ottenere la cessazione del fatto lesivo, nonché l’eventuale e conseguente risarcitoria, afferente il ristoro dei pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali patiti, causalmente ricollegabili alla lesione subìta.

Tutto quanto appena sopra argomentato con riferimento alle persone fisiche ed alle società di capitali e non, quid iuris per le associazioni non riconosciute?

Di queste ultime abbiamo conosciuto l’amplissima diffusione con cui hanno permeato l’attuale tessuto sociale, ne abbiamo apprezzato la primaria importanza delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che perseguono oltreché, per talune di esse, la competitività dei servizi resi attraverso l’assenza di scopo di lucro, da intendersi come il reimpiego del profitto, eventualmente realizzato, nelle finalità istituzionali delle stesse organizzazioni.

Sappiamo anche che, quali siano le categorie generali di appartenenza, sia per le associazioni di volontariato, sia per le cooperative sociali, sia per le associazioni di promozione sociale, sia per le associazioni sportive dilettantistiche, sia per le associazioni dei consumatori e degli utenti, sia per le società di mutuo soccorso, sia per le organizzazioni non governative, sia per le imprese sociali, sia per i partiti politici, sia per i fondi di assistenza sanitaria, vengono sempre identificate con un nome e, quasi sempre, da un simbolo distintivo.

Per tali enti, infatti, non solo il nome e l’eventuale simbolo indicano l’identità personale, ma sono anche gli strumenti che consentono ai terzi di distinguere il soggetto e l’attività esercitata nel contesto in cui operano.

Orbene se è altresì vero che il dettato normativo dell’articolo 16, comma I del codice civile, sempre facente parte del libro I “Delle persone e delle famiglia”, al Titolo II, “Delle persone giuridiche”, il Capo II dedicato alle Associazioni e fondazioni (dotate di personalità giuridica), preveda un generico riferimento alla denominazione: “L’atto costitutivo e lo statuto devono contenere la denominazione dell’ente, l’indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione  …”, per le associazioni non riconosciute non vi è alcuna previsione normativa che disciplini espressamente il diritto al nome e la sua tutela.

Non è del resto difficile constatare come all’interno degli articoli 36, 37 e 38 di cui al capo III del titolo II del I libro del codice civile, disciplinanti le associazioni non riconosciute, non si rinvenga traccia alcuna dei principi e dei diritti fondamentali appena sopra menzionati e, del pari, men che meno di qualsivoglia tutela predisposta dall’ordinamento giuridico.

Del resto, tale impostazione sistematica è figlia dell’arcaica concezione secondo cui le associazioni non riconosciute, in quanto tali, non erano ritenute titolari di soggettività giuridica.

Pertanto, la scarna disciplina legislativa riguardante le associazioni non riconosciute, ha posto gli interpreti di fronte al quesito di quale disciplina applicare alle precitate anche nell’ambito dei diritti della personalità, dei quali il diritto al nome e la sua tutela assumono l’espressione massima.

Rileva che, soltanto dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso, proprio la giurisprudenza di legittimità abbia contribuito a raggiungere il definitivo superamento del dogma della personalità giuridica. In altri termini, soltanto da quel momento in poi si è potuto affermare il principio secondo cui le associazioni non riconosciute, pur non essendo dotate di personalità giuridica siano, in ogni caso, configurate dall’ordinamento come soggetti di diritto.

Da ciò l’attribuzione della soggettività giuridica anche in capo ad enti privi di tale personalità ha comportato l’attribuzione alle associazioni non riconosciute della definitiva investitura di soggetti di diritto.

Precipitati logici ed interpretativi di tali epocali affermazioni sono l’attribuzione, anche alle associazioni non riconosciute, delle qualità di soggetti di diritto distinti dagli associati, nonché l’attribuzione, per via analogica, della disciplina della tutela del nome prevista dagli articoli 7 e seguenti del codice civile per le persone fisiche.

Più nello specifico, anche alle associazioni non riconosciute veniva assicurata la tutela dettata dall’articolo 7 e ss. del codice civile, a mente del quale il diritto al nome si esplica attraverso il diritto all’uso del proprio nome (vale a dirsi come diritto ad identificare se stessi e ad essere identificati dagli altri con il proprio nome), nonché attraverso il diritto all’uso esclusivo del proprio nome (inteso come protezione da ogni contestazione, usurpazione e contro ogni altro utilizzo abusivo da parte di terzi), concretantesi nella facoltà del titolare di chiedere tutela giurisdizionale per ottenere la cessazione del fatto lesivo ed il risarcimento del danno.

L’affermazione di tali principi di diritto, ormai ritenuti consolidati, è seguita da tutti i Tribunali italiani e sono stati ribaditi attraverso note pronunce riguardanti, in tempi recenti, nomi, sigle e simboli appartenenti ad associazioni non riconosciute, quali sono i partiti politici.

Ne è esempio lampante la disputa legale trascinatasi sin dal 1994, anno della dissoluzione della Democrazia Cristiana, riguardante l’utilizzo, da parte di diverse associazioni politiche di successiva costituzione, sia del nome e sia dei simboli appartenuti al preesistente partito: alle associazioni non riconosciute, soggetti di natura collettiva, si applicano, in via analogica, le disposizioni di cui agli articoli 6, 7 e 16 codice civile in tema di diritto al nome; in particolare, è stato precisato che il nome della persona, fisica e giuridica, equiparandosi a quest’ultima l’associazione non riconosciuta, rientra nella previsione generale dell’articolo 7 codice civile che individua nel nome il segno di identificazione del soggetto in quanto tale, indipendentemente dalla natura del soggetto e dunque dall’eventuale posizione del soggetto in un mercato, ma in virtù del solo “principium identificationis”, con la specificazione che la sigla, quando è l’equivalente del nome dell’individuo o della società, gode della stessa tutela del nome. Le denominazioni delle associazioni non riconosciute debbono naturalmente essere formate in modo tale da possedere una effettiva forza distintiva, da valutare in riferimento alla percezione che di essa possono avere i terzi e che ha per contenuto l’espressione totale e complessiva del nome e non anche delle singole componenti di questo. Il simbolo grafico caratterizzante l’associazione non riconosciuta non può essere considerato parte del nome di tale soggetto collettivo ma costituisce comunque segno distintivo costituente parte dell’identità personale (…) del soggetto stesso, come tale tutelato dai sopra richiamati articoli 6 e 7 codice civile; il diritto all’uso del nome e del simbolo grafico appartiene quindi solo all’associazione non riconosciuta e non anche ai soggetti alla stessa associati ovvero a coloro che agiscono in nome e per conto dell’ente in base al rapporto di rappresentanza organica con lo stesso. (Tribunale Roma Sez. III Sent., 23/09/2009  D.C. c. U.D.C. e altri).

E ancora, sempre sulla tutela giurisdizionale del diritto alla tutela del nome e dei simboli delle associazioni non riconosciute, con specifico riferimento ai partiti politici, vale la pena richiamare quanto espresso dal Tribunale di Roma, nella causa vertente tra il preesistente Movimento Sociale Italiano e l’allora neonata Alleanza Nazionale: “ … le associazioni non riconosciute, nella specie un partito politico, hanno diritto alla tutela del nome, della identità personale e di ogni altro attributo individualizzante desumibile anche in via analogica dalla disciplina dettata dall’articolo 7 c. c. con riferimento al diritto al nome (…) Deve essere inibito ad un’associazione non riconosciuta l’uso di segni distintivi (simbolo e sigla) già appartenuti ad altro ente non riconosciuto il quale, pur avendo deliberato il mutamento dei propri segni distintivi, abbia conservato il vecchio simbolo, inserendolo in quello nuovo” (Tribunale Roma Sez. I, 13/04/1995 M.S.I. c. A.N.).

Una pronunzia di legittimità che ha, infine, tratteggiato con maggiore precisione lo status giuridico delle associazioni non riconosciute è rappresentata dalla sentenza n. 23401/2015 che ha altresì provveduto a riconoscere, in favore di un’associazione non riconosciuta, il risarcimento del danno non patrimoniale ex articolo 2059 cod. civ. per violazione dei diritti della personalità: “L’associazione non riconosciuta, quale centro di imputazione di situazioni giuridiche e, come tale, soggetto di diritto distinto dagli associati, beneficia della tutela della propria denominazione, che si traduce nella possibilità di chiedere la cessazione di fatti di usurpazione (cioè di indebita assunzione di nomi e denominazioni altrui quali segni distintivi), la connessa reintegrazione patrimoniale, nonché il risarcimento del danno ex articolo 2059 codice civile, comprensivo di qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione dei diritti immateriali della personalità, compatibile con l’assenza di fisicità e costituzionalmente protetti, quali sono il diritto al nome, all’identità ed all’immagine dell’ente”. (Cass. civ. Sez. I Sent., 16/11/2015, n. 23401 con cui in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto il risarcimento del danno all’Associazione italiana contro le leucemie ed alla sua affiliata locale di Pescara, ritenendo usurpativa la protrazione dell’utilizzo della denominazione “AIL” effettuato dalla sezione regionale abruzzese nonostante la pregressa esclusione).

In conclusione, sebbene i diritti della personalità delle associazioni non riconosciute, dei quali il diritto al nome segna la massima espressione, sembrerebbero sforniti di riconoscimento e tutela  all’interno del nostro ordinamento giuridico, una successiva interpretazione sistematica delle norme ha consentito di affermare, anche per le associazioni non riconosciute prive di personalità giuridica, quei diritti inviolabili proclamati dalla Costituzione, e non soltanto per l’uomo come singolo, ma anche per le formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità.

Riferimenti bibliografici:

Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Commentario al codice civile a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1972; Basile, P. Rescigno, Gli enti di fatto, in Trattato di diritto privato Torino, 1982; Rescigno, Persone e comunità. Saggi di diritto privato, Padova, 1987;  Lenti, Nome e cognome, in Digesto civ., 4a ed., Torino, 2008; Alpa, Resta, Le persone fisiche e i diritti della personalità, Torino, 2006; Dogliotti, Le persone fisiche, in Tratt. Rescigno, 2, II, Torino, 1999; Breccia, Delle persone fisiche, in Comm. Scialoja, Branca, Bologna-Roma, 1988; Rubino, Le associazioni non riconosciute, 2a ed., Milano, 1952; Messineo, Gli enti di fatto, in Tratt. Rescigno, 2a ed., Persona e famiglia, II, Torino, 2000.