Etica delle tasse: sacrificio uguale a beneficio

Discorso tenuto dal Dott.Prof. Giammarco Limardi in occasione del Convegno Equitalia – Pontremoli, 24 settembre 2010.

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Giammarco Limardi

Il ruolo pubblico della riscossione è argomento affascinante e portatore di riflessioni che hanno per oggetto il concetto di etica. Riscoprirne il significato può rappresentare un punto di partenza condivisibile.

I termini “morale” ed “etica” sono pressoché sinonimi: l’etimo del primo è di origine latina, quello del secondo di origine greca. Fu Cicerone nel De Fato a tradurre con philosophia moralis quella che i greci chiamavano ethiké.

Dobbiamo ad Aristotele la designazione di una specifica disciplina filosofica, ricordando che alla base del termine etica sta il verbo greco etho, che significa “sono solito fare”, “mi comporto”: possiamo, quindi, definire l’etica come quella disciplina che studia l’agire umano ed i suoi punti di riferimento assiologici, ovvero i suoi valori di riferimento.

A tale proposito è utile proporre un’ulteriore riflessione di natura filosofica per comprendere la percezione che hanno i contribuenti del “valore tasse” ed il loro rapporto con le agenzie preposte alla riscossione.

Il rischio del nostro tempo è che all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. (Benedetto XVI, Caritas in veritate, Lettera Enciclica, 9).

La nostra età è, in gran parte, caratterizzata da “un’etica senza verità e da un liberalismo senza fondamenti” così come affermato da Paul Recoeur (1913-2005): come possiamo allora, oggi, affrontare e colmare una lacuna così profonda?
La soluzione potrebbe essere quella di porre la persona, definita da Tommaso D’Aquino come “ciò che c’è di più perfetto in tutta la natura (id quod est perfectissimum in tota natura)”, al centro dell’agire.

Proprio i fondamenti dell’etica e di un agire politico di ispirazione liberale possono essere rinvenuti nella tradizione personalistica. Seguendo ancora Paul Ricoeur possiamo dire che l’idea di persona umana “resta ancora oggi il miglior candidato per sostenere le lotte giuridiche, politiche, economiche e sociali”.

Di particolare importanza è l’indicazione che Emmanuel Mounier (personalismo comunitario 1905-1950) ci suggerisce per delineare correttamente la nozione di persona, indicazione che, come egli stesso afferma, “non può essere considerata una vera e propria definizione”, poiché nella persona umana rimane sempre un qualcosa di “indefinibile” ed “ineffabile” che sfugge ad ogni rigida categorizzazione concettuale:  “una persona è un essere spirituale costituito come tale da un modo di sussistenza e di indipendenza del suo essere; essa mantiene questa sussistenza mediante la sua adesione a una gerarchia di valori liberamente eletti, assimilati e vissuti con un impegno responsabile e una costante conversione; la persona unifica così tutta la sua attività nella libertà e sviluppa nella crescita attraverso atti creativi la singolarità della sua vocazione”.

Ma l’essere umano si relaziona in un contesto sociale, non è solo, altrimenti si cadrebbe in un pericoloso individualismo e, per dirla alla Maritain, “non possiamo essere uomini e divenire uomini senza andare in mezzo agli uomini; non possiamo accrescere in noi la vita e l’attività senza respirare con i nostri simili”.(Jacques Maritain,1942, I diritti dell’uomo e la legge naturale.).

A tale proposito “le etiche pubbliche” “si propongono di elaborare procedure e norme che regolano la coesistenza degli individui in società caratterizzate da un pluralismo di visioni morali e culturali, che consentono di arrivare a soluzioni eque nel campo dei conflitti di interesse” (Marco Ivaldo, Storia della filosofia morale, Riuniti, Roma 2006, p. 176).
Un significativo esempio di etica pubblica viene delineato dal filosofo americano John Rawls (1921-2002) nel volume del 1971 A Theory of Justice: politicamente Rawls è fautore di un liberalismo a impronta fortemente democratica ed attento ai problemi della giustizia sociale.

Tema centrale del pensiero dell’autore è quello della giustizia, intesa come il requisito etico fondamentale delle istituzioni sociali, ovvero delle forme organizzate della interazione e della cooperazione tra gli individui: “la giustizia – scrive Rawls – è il primo requisito delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero”.

Abbiamo accennato all’etica della persona, all’etica pubblica, alla giustizia sociale concetti usati ed abusati nel linguaggio comune, troppe volte svuotati del loro significato originario ad uso e consumo di interessi di parte.

Proprio per questo c’è bisogno di un cambiamento culturale di fondo per il quale “come i buoni costumi per mantenersi hanno bisogno di leggi, così le leggi per osservarsi hanno bisogno dei buoni costumi” (Machiavelli, Discorsi sulla prima deca di Tito Livio, I, 18).

Ma cosa intendiamo per etica oggi, soprattutto, cosa intendiamo per etica applicata alle tasse?
Il legislatore potrebbe concepire la miglior legge possibile, ma è necessaria “una ulteriore specie di legge la più importante di tutte, che non è incisa né nel marmo né nel bronzo, ma nel cuore dei cittadini; che forma la vera costituzione dello stato … Intendo la consuetudine, i costumi e soprattutto l’opinione; parte sconosciuta ai nostri politici, ma dalla quale dipende il successo di tutte le altre; parte di cui il legislatore si occupa in segreto, mentre sembra limitarsi a regolamenti particolari, i quali non sono che il sesto della volta, di cui i costumi, più lenti a nascere, formano in definitiva la chiave incrollabile” (Contratto sociale, parte II, cap. 12, trad. V. Gerratana).

La considerazione di Rousseau non fa che avvalorare  l’idea di fondo per la quale ci vuole un’interiorizzazione delle norme ed una presa di coscienza che il bene pubblico necessita del contributo “volontario” della collettività.
Occorre considerare l’esistenza di fattori, che favoriscono la non adesione ai valori, difficilmente estirpabili se non mettendo in gioco l’intero sistema. L’effetto trainante che assumono certi status symbol e, dunque, l’incentivo che ne deriva a conseguirli ad ogni prezzo può essere contrastato sul terreno etico in vario modo, ma non può essere del tutto sradicato se non attraverso una crescita collettiva a lungo termine. In contesti nei quali le dinamiche economiche sono immerse in un’ideologia contrattualista fortemente condivisa, più facile può essere rinvenire nelle radici stesse del sistema economico che genera il successo anche gli antidoti contro le sue deviazioni. Ma dappertutto è probabile che si debba andare oltre la sola dimensione economica, quello che Herbert Marcuse definiva “l’uomo ad una dimensione”, l’uomo, cioè, che ha perso la sua capacità critica.

La vita economica ha senz’altro bisogno del contratto, per regolare i rapporti di scambio tra valori equivalenti. Ma ha altresì bisogno di leggi giuste e di forme di ridistribuzione guidate dalla politica, e inoltre di opere che rechino impresso lo spirito della solidarietà. (Benedetto XVI, Caritas in veritate, Lettera Enciclica, 9)
E allora bisognerebbe far notare ai contribuenti che lo Stato per mantenere la sua struttura, per offrire i servizi pubblici necessari e per ridistribuire la ricchezza ha bisogno di ricavare i mezzi economici necessari.
Lo Stato deve impostare un’adeguata politica fiscale, tenendo conto del suo diritto a riscuotere le tasse, del bisogno di una legge fiscale giusta, dell’equità dell’uso dei fondi pubblici e dell’obbligo – non soltanto legale, ma anche morale – dei cittadini di pagare le tasse.
Il diritto dello Stato a riscuotere le tasse si sorregge principalmente su tre principi dell’etica sociale:
il bene comune, per cui ogni cittadino ha il dovere di contribuire alla spesa pubblica in misura proporzionale alla sua capacità;destinazione universale delle ricchezze del territorio;solidarietà per cui ognuno è responsabile del bene integrale di tutti gli altri.
La legge fiscale deve essere giusta, cioè promulgata dall’autorità legittima, sia nazionale, regionale o locale, secondo le proprie competenze. Essa deve tener conto del principio di sussidiarietà, senza moltiplicare l’apparato burocratico e senza convertire lo Stato in “Stato assistenziale”.
Deve applicare il principio dell’equità, in modo che il carico fiscale sia distribuito secondo le reali possibilità delle persone.
Una vera politica fiscale deve prestare grande attenzione a sostenere le famiglie: la famiglia, infatti, svolge una serie di funzioni fondamentali per il bene comune dell’intera società; Hegel la definiva come “prima espressione della concreta società organica (in essa infatti gli individui non sono più atomi sociali, ma membri di un organismo). Per altro, il filosofo tedesco riprese l’antica definizione che dava Cicerone:“principium urbis et quasi fundamentum rei publicae (il primo principio della città e, quasi, il fondamento della vita pubblica.”
Oltre all’equità della legislazione fiscale deve essere equo anche l’uso dei fondi da essa ricavati, bisogna usarli correttamente e ciò richiede un’oculata amministrazione per evitare dannosi sperperi.
La complessità tecnica con cui si presenta la tematica della finanza pubblica rende ancora più necessario evidenziare le direttive etiche che la guidano.

Questi orientamenti possono contribuire efficacemente a costruire un’etica pubblica grazie alla quale la finanza pubblica non venga avvertita come una macchina ostile, che impone un prelievo arbitrario, ma si proponga come una cassa comune per la promozione di una convivenza civile e meglio partecipata, nella quale si recupera la fiducia nel rapporto tra lo Stato, i diversi gruppi sociale ed i cittadini.

La finanza pubblica è uno strumento basilare per il conseguimento del bene comune. Essa deve essere impostata secondo un insieme di principi morali e tecnici, tenendo conto della situazione concreta della società a cui viene applicata.
La raccolta fiscale e la spesa pubblica assumono un’importanza economica cruciale per ogni comunità civile e politica: l’obiettivo a cui tendere è una finanza pubblica capace di proporsi come strumento di sviluppo, senza dimenticare un altro aspetto che rende davvero civile una società: la solidarietà. (Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Dizionario di dottrina sociale della Chiesa, L.A.S – Roma).

Una finanza pubblica equa, efficiente efficace, produce effetti virtuosi sull’economia, riesce a favorire la crescita dell’occupazione e le iniziative senza scopo di lucro, e, fattore di non poco conto, contribuisce ad accrescere la credibilità dello Stato quale garante dei sistemi di previdenza e di protezione sociale. (Concilio Vaticano II, Cost.past. Gaudium et spes, 30)
Ma come concretamente poter dare un cambio di rotta in favore di una “scoperta” o riscoperta di quell’etica che vede al primo posto il bene comune?
Un primo significativo passo potrebbe essere la diffusione di una cultura che vede incentrare l’attenzione sui benefici che la tassazione comporta. Un sacrificio e’ meglio sopportato se ad esso corrisponde il raggiungimento di un obiettivo.
L’equazione  “tasse uguale sacrificio” si potrebbe completare con “tasse uguale sacrificio uguale beneficio”, ma le istituzioni preposte dovranno essere in grado di pubblicizzare il proprio prodotto, rendere realmente partecipi i contribuenti del frutto del loro lavoro.
Il linguaggio, utilizzato dai mezzi di comunicazione è importante, esso può essere inteso come “luogo in cui si pone il problema del senso”: l’impatto che hanno le notizie riguardanti il fisco, il modo di raggiungere il ricevente può contribuire a creare un clima favorevole al riappropriarsi da parte dei cittadini della Res pubblica.
Tra emittente e ricevente vi sono molte variabili, così dette intervenienti , è su quelle che bisogna lavorare.
Dobbiamo incominciare dalle agenzie di socializzazione primaria e secondaria, passando per gli istituti culturali e le università.

Bisogna far comprendere ai giovani, in primis, come il sacrificio che lo Stato ci chiede si concretizzi in servizi essenziali indispensabili: sanità, lavoro, infrastrutture, istruzione, cultura, sport.
Soltanto quando  ogni cittadino avrà tale consapevolezza e capirà che pagando tutti, tutti pagheranno meno, allora si costruirà una società più equa e solidale.

L’evasione fiscale italiana è un problema endemico la cui risoluzione non spetta soltanto agli strumenti di “pressione penale”, ma ad una nuova stagione che riporti l’uomo al centro del sistema e non l’idea di dover mantenere solo un apparato costoso.

Bisogna promuovere una cultura della tassazione entrando nelle case degli italiani, utilizzando i “vecchi” ed i newmedia, producendo iniziative pubblicitarie mirate a far “toccare con mano” cosa di concreto si sia creato, costruito, distribuito attraverso lo sforzo dei contribuenti: scuole, ospedali, strade, porti, azioni di solidarietà internazionale, ecc, ecc.
Non una scuola, un ospedale o una strada…ma quella scuola, quell’ospedale, quella strada,  quel bene pubblico del quale io cittadino posso usufruire.

Dobbiamo insistere con iniziative trasversali che vedano protagonisti tutti gli attori sociali interessati: sarebbe utile lanciare una vera e propria campagna nazionale partendo dalle scuole, passando per il mondo imprenditoriale, con il preciso scopo di instillare, attraverso progetti concreti,  quel senso di appartenenza allo Stato che impone come via obbligatoria la conoscenza delle istituzioni stesse e la condivisione delle loro finalità.

Una maggiore diffusione dei risultati ottenuti attraverso la raccolta del denaro pubblico, l’utilizzo efficace della comunicazione, il rapporto continuo con la Confindustria ed i vari ordini professionali, il coinvolgimento dei sindacati, delle università,  l’interscambio con l’associazionismo, la promozione di convegni, dibattiti, incontri scientifico-culturali, vanno coordinati a livello centrale e recepiti a livello regionale creando un progetto a medio-lungo termine. Ogni mutamento culturale necessita di tempi quasi mai immediati, certo, l’urgenza del nostro debito pubblico richiederebbe una soluzione la più rapida possibile, ma per creare i presupposti di un reale cambiamento nella percezione della tassazione c’è bisogno di idee concrete, di buone leggi, ma soprattutto della consapevolezza che i sacrifici dei contribuenti servano per il bene di se stessi e della collettività.

E’ necessario “costruire ponti e non di innalzare muri” (Giovanni Paolo II) tra istituzioni e contribuenti, affinché sempre di più vi sia dialogo e rispetto reciproco verso un obiettivo comune. I recenti richiami del Presidente della Repubblica al dovere della riduzione del debito pubblico, definito come “un imperativo categorico”, dovrebbe stimolare la nascita di un grande patto nazionale dove ciascuno si impegni secondo i propri compiti: la “politica” favorisca leggi eque, che tengano in considerazione i reali bisogni delle persone, sforzandosi di trovare soluzioni all’eccessiva pressione fiscale. I contribuenti, da parte loro, abbandonino un atteggiamento avaloriale e si sentano partecipi di una grande battaglia culturale che porti l’Italia verso un livello di maggiore “civiltà” contributiva.
È una sfida difficile, ma non impossibile: “costringiamo l’aurora a nascere credendoci”.